Nuove idee per trasformare un paese per vecchi in un paese per giovani
La sfida culturale di Macron, e un paradosso
Roma. La giovinezza della Francia. Così Joseph C. Sternberg, editorialista del Wall Street Journal, descrive il momento che sta vivendo il paese di Macron. Nonostante un’alta disoccupazione e una crescita meno sostenuta di quella tedesca, “France works pretty well”: la produttività pro capite dei lavoratori francesi è una delle più alte al mondo, maggiore di quella americana, britannica o tedesca, in Francia hanno sede multinazionali competitive e innovative, come Danone, Psa e Total, la finanza pubblica non è perennemente sull’orlo del baratro. Ma soprattutto, la Francia ha una popolazione giovane: il 18,5 per cento dei francesi ha meno di 15 anni mentre in Germania la percentuale scende al 12,5, il tasso di fertilità è il più alto d’Europa (2,01 figli per donna, in Germania il rapporto è 1,50, in Italia 1,37), anche grazie alle spese per le politiche giovanili. Eppure, ragiona Sternberg, il paese è ancora “vecchio”. Ha un modello economico dirigista da metà del Novecento, leggi sul mercato del lavoro rigidissime, un sistema pensionistico fin troppo generoso (l’età media dei pensionati è 59,4 anni, la più bassa dell’occidente).
Per questi motivi, secondo il Wall Street Journal, la vera sfida di Macron è trasformare la Francia da paese giovane in paese per giovani. Qui c’è il paradosso: riuscirà a trasformarlo nonostante la jeunesse? Alle ultime presidenziali gli under 24 hanno scelto in larga parte due forze conservatrici ed euroscettiche, come la France insoumise di Jean Luc Mélenchon (al 30 per cento in questo segmento dell’elettorato), o il Front national di Marine Le Pen (21 per cento). Solo il 18 per cento ha votato Macron. Nicolas Bouzou, economista, fondatore della società di consulenza Asterès, e in queste settimane in libreria con Le travail est l’avenir de l'homme (Éditions de l’Observatoire), spiega al Foglio perché la Francia ha una gioventù così conservatrice: “Non è un paradosso che i giovani siano contrari ai cambiamenti. La disoccupazione giovanile è molto alta, intorno al 25 per cento, la prima richiesta che vi viene in mente se vivete questa condizione è quella di essere protetti. Questo vi spinge verso Marine Le Pen, se la vostra paura è la concorrenza dell’altro, oppure verso Mélenchon, che vi promette più intervento dello stato”. Questo atteggiamento, continua l’economista, non è solo determinato dalle idee politiche, ma ha radici più profonde: “La cultura liberale in Francia è minoritaria, a scuola vengono insegnate le virtù dell’intervento pubblico, nei programmi scolastici è anzi sottesa una critica al liberalismo”. Il problema, insomma, è più culturale che politico. “L’Inghilterra degli anni Settanta non era certo liberale, eppure oggi viene spesso citata come esempio da seguire. Le cose possono cambiare”. Anche in Francia? “E’ più complicato: con la rivoluzione francese ha trionfato l’idea che lo stato è garante dell’interesse generale, protegge i cittadini contro l’individualismo. Questo ha profondamente segnato il nostro modo di pensare. Credo che un paese innovativo non possa prescindere da un tessuto culturale favorevole ai cambiamenti che vuole introdurre il presidente. La vera sfida è questa”.
Durante le manifestazioni contro i decreti della loi travail, l’incubo del governo era la protesta dei liceali e degli universitari, non quella dei sindacati: “E’ strano vedere persone protestare per diritti che rischiano di non avere mai. Però è anche comprensibile, chi oggi è escluso cerca di aggrapparsi al sistema che c’è, senza capire che è proprio questo a essere disfunzionale. Non c’è correlazione tra progressismo e gioventù, purtroppo, chi si sente assediato tende a essere conservatore anche a vent’anni”. Ecco perché la base elettorale di Emmanuel Macron è più adulta, contrariamente a quanto si potrebbe pensare per un presidente di soli 39 anni.
A tutto questo si aggiunge una tendenza dei media e degli ambienti intellettuali, sia di destra sia di sinistra, alla rassegnazione, al declinismo. “L’atteggiamento ‘era meglio prima’ è purtroppo dominante, esiste quasi un compiacimento nell’esaltare i tempi andati. In un ambiente culturale simile i nostri giovani non possono che essere conservatori”. Bouzou sta girando la Francia per presentare il suo libro, e rimane spesso sorpreso dalle reazioni che riceve, soprattutto nelle scuole, quando spiega che le nuove tecnologie salveranno il lavoro: “La prima reazione è l’incredulità, la seconda è il sospetto che stia dicendo una colossale bugia. Si figuri, io lo capisco: se hai vent’anni e intorno a te la disoccupazione è la normalità, è ovvio che inizi a credere che il reddito universale sia la sola soluzione. Un’idea sbagliata presentata, tra l’altro, come innovativa. E’ vero il contrario”. Ma quindi, come si fa a cambiare mentalità? “L’unico modo è mettere in campo delle politiche efficaci. E la tecnologia è una delle grandi opportunità che abbiamo, occorre spiegare che migliorerà la nostra vita. A me sembra banale, forse non lo è. Se Macron riesce, e la strada è giusta, in molti capiranno che la flessibilità non è un nemico, ma una necessità”.
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