Come si lavora nelle fabbriche dei troll di Putin
Un ex dipendente svela alla tv russa i tentativi riusciti di interferire nella politica americana, fa tutti i nomi e dice: era dadaismo
“Era postmodernismo puro. Postmodernismo, dadaismo, surrealismo”, dice Alan Baskayev alle telecamere dell’emittente russa Dozhd Tv. Pelato, occhiali da vista e una maglietta rossa con la bandiera a stelle a strisce e al centro la scritta “Top Out”, Baskayev è il primo impiegato di una fabbrica di troll che ha rivelato la sua identità e ha spiegato come attraverso i social media i russi sono riusciti a interferire nelle le presidenziali americane. “Ci divertivamo, ci chiedevano cose assurde e noi ci passavamo la notte”, dice l’ex troll che ha lavorato per la Internet Research Agency di San Pietroburgo, l’agenzia accusata di aver lanciato una massiccia campagna attraverso le piattaforme social per fomentare le tensioni razziali durante le elezioni del 2016. Alan non ha smentito nulla e durante l’intervista si è cimentato in un dettagliato racconto sulla vita dei troll all’interno dell’agenzia: “Avevo bisogno di soldi, come tutti”, dice senza l’intento di scusarsi. “Guadagnavo cinquantamila rubli, circa 860 dollari, ben al di sopra della media”.
L’intervistatrice non fa domande, non servono, l’ex troll è immerso nel suo monologo. “Subito ho pensato che fosse un buon affare, non ero obbligato a fare i conti con la mia coscienza perché questo lavoro non aveva nulla a che fare con la coscienza”. Baskayev ha ammesso di aver lavorato per l’agenzia russa tra il novembre del 2014 e l’aprile del 2015, fa i nomi, cita i luoghi e le strategie, non smentisce nessuna accusa e soprattutto lo fa con leggerezza. Durante l’intervista esce fuori anche il nome di Yevgeny Prigozhin, l’uomo d’affari russo noto come chef di Putin, che secondo i racconti di Baskayev sarebbe “il nostro uomo, è lui che ci dava i soldi”.
La confessione è molto diversa rispetto alle scene alle quali avevamo assistito finora: Baskayev non si presenta incappucciato, non viene ripreso alle spalle, non ha la voce modificata. Guarda dritto la telecamera e ammette: “Il mio compito era quello di partecipare a discussioni in forum che parlassero di politica”, e spiega, “se tu digitavi la parola ‘politics’ in un forum, i primi risultati e probabilmente anche quelli sulla seconda pagina, erano nostri. Il compito dei troll era quello di monopolizzare le discussioni, in modo che uscissero solo risultati mirati”. Stessa cosa se l’utente scriveva “politics forum U.S.”. Dozhd Tv cita tre ex troll che hanno collaborato in passato e che, preferendo rimanere anonimi, avevano rivelato il nome di Dzheykhun Aslanov, un ragazzo di ventisette anni di origine azerbaigiana che si faceva chiamare “Jay Z“. “Jay era un pessimo manager, non era competente”, conferma Baskayev. “Francamente parlando era proprio scarso, ma aveva séguito”.
Dopo aver lasciato la Internet Research Agency, l’ex troll si è trasferito in Thailandia, dove lavora come insegnante di russo, e da lì ha spiegato all’emittente russa come veniva fatto il lavoro. “Interpretavo vari personaggi, ero uno zotico del Kentucky, poi assumevo il ruolo di un uomo bianco del Minnesota che per tutta la vita non aveva fatto altro che lavorare, pagare le tasse e ora era ridotto in povertà, poi, quindici minuti dopo mi trasformavo e iniziavo a scrivere nello slang usato dai neri di New York”. Così i troll prendevano il controllo dei forum. “Usavamo dei proxy server, ossia dei server che facevano da intermediari, per evitare di essere localizzati”, ma poi spiega: “Regolarmente venivamo bloccati”. In un forum, sui venti account che Baskayev utilizzava, soltanto due non sono stati bannati. “Ci divertivamo, era un baccanale. Eravamo dei ventenni, giovanotti allegri impegnati a fare delle cose orribili”, ride.
Baskayev era nella squadra dei “giovanotti allegri” che hanno realizzato un falso sex tape di Hillary Clinton: “Avevamo assunto un nero e una donna che somigliasse alla Clinton, dovevamo pagarli per girare un porno da diffondere in rete, poi non lo abbiamo fatto, ma lei era uguale”, dice esaltat. “Però l’accento non era quello giusto”.“Ho dovuto lasciare, il gioco stava diventando troppo pericoloso”, dice Baskayev in chiusura, “C’è quel meme di una fabbrica di troll in cui tutti lavorano in silenzio, a testa bassa sovrastati da una foto di Putin e da un bandiera russa”, scuote la testa. “No no, non era così. Io facevo il turno di notte e noi abbiamo fatto cose folli, ridicole, creative. Arte”.