In Kenya un plebiscito per Kenyatta, ma l'opposizione non molla
Il presidente uscente vince la ripetizione delle elezioni presidenziali, boicottate dai suoi avversari, con il 98 per cento dei voti. Ma dopo gli scontri degli ultimi giorni, il paese trattiene il fiato in attesa delle mosse del rivale Raila Odinga
Milano. Una lunga litania di numeri e percentuali, interrotta soltanto dagli applausi riservati al presidente Uhuru Kenyatta. Con voce monotona, oggi pomeriggio Wafula Chebukati, presidente della Commissione elettorale indipendente del Kenya, ha confermato ufficialmente la vittoria del capo dello Stato uscente alle elezioni dello scorso 26 ottobre: la ripetizione, ordinata dalla Corte suprema del paese africano, dello scrutinio dell’8 agosto, che i giudici avevano annullato per irregolarità nella gestione del processo elettorale.
Un trionfo annunciato, visto il boicottaggio messo in atto dall’opposizione guidata da Raila Odinga, e che proprio per questo motivo difficilmente chiuderà il periodo d’instabilità iniziato dopo la decisione della Corte. Una situazione di tensione che porta con sé l’ombra della violenza: quella che aveva segnato il paese dopo le elezioni del 2007, causando la morte di oltre mille persone, e che – seppure in dimensioni più circoscritte – è tornata a farsi sentire in questi mesi. Sono infatti circa 50 le persone rimaste uccise da agosto, dopo le prime elezioni: secondo le forze dell’ordine, poi, da giovedì scorso, giorno del secondo voto, ci sono stati almeno sei morti e 30 feriti.
La lunga lettura dei dati di ogni circoscrizione da parte di Chebukati è stata quindi nient’altro che la ratifica di un plebiscito a favore di Kenyatta, che ha raccolto il 98,3 per cento dei voti.
Viste le cifre della partecipazione, Odinga ha raggiunto il suo obiettivo: giovedì alle urne sono andati solo il 38,8 per cento per cento degli iscritti alle liste, contro l’oltre 80 per cento di agosto. I voti per il leader dell’opposizione della National alliance (NASA) sono stati appena 73 mila, lo 0,09 per cento del totale: segnale che i suoi sostenitori gli hanno dato ascolto e hanno disertato i seggi.
Il boicottaggio ha raggiunto le sue conseguenze estreme nell’Ovest del paese, abitate in maggioranza dall’etnia Luo di cui Odinga fa parte. Assieme alla capitale Nairobi, è proprio nella città di Kisumu, storica roccaforte di Odinga, che si sono registrate le maggiori violenze, come ha denunciato Amnesty International. E in venticinque circoscrizioni di questa regione, dopo un primo rinvio del voto da giovedì a sabato, oltre tremila seggi sono rimasti chiusi a causa delle proteste dei sostenitori dell’opposizione: Chebukati ha spiegato che non c’erano le necessarie condizioni di sicurezza per gli ufficiali elettorali.
Nonostante questa circostanza, la Commissione elettorale, dopo aver richiesto una consulenza legale, ha ritenuto di certificare comunque la validità del voto. Chebukati – che si è difeso da tutte le accuse lanciate contro di lui dall’opposizione – oggi ha detto che le operazioni si sono svolte in modo conforme a quanto indicato dalla Corte suprema, e ha parlato di elezioni “libere e credibili”. Tuttavia, proprio questa scelta potrebbe dare a Odinga l’appiglio per un nuovo ricorso, per far invalidare anche queste elezioni. Alla Corte suprema, poi, pende anche un ricorso dell’attivista Okiya Omtatah, secondo cui le elezioni sarebbero state irregolari fin dal momento in cui Odinga aveva annunciato di non voler più partecipare.
L’attesa ora è quindi per le prossime mosse del leader dell’opposizione, che negli scorsi giorni aveva annunciato di voler condurre azioni di disobbedienza civile in tutto il paese, e di voler ricorrere a ogni mezzo legale per contrastare la legittimità della vittoria di Kenyatta. Se non verranno presentati ricorsi, tra due settimane il presidente uscente presterà giuramento per il suo secondo mandato.
Dopo l’annuncio dei risultati, in un discorso Kenyatta ha fatto un appello alla pacificazione, ringraziando chi lo ha votato e aggiungendo di aspettarsi “azioni legali” contro la sua vittoria: “qualunque altro paese sarebbe stato in fiamme” a causa di simili tensioni, ha aggiunto, “ma non noi”.
In ogni caso, l’incertezza è destinata a durare ancora, in un paese che è un alleato strategico degli Stati Uniti nella regione e che fino a pochi mesi fa era considerato tra i più stabili dell’Africa orientale. Un cliché “spacciato dagli alleati europei e americani di Nairobi”, che non corrisponde alla realtà, secondo uno dei più importanti studiosi del Kenya contemporaneo, lo storico David Andersen dell’università di Warwick.
Andersen ha spiegato al Monde come siano “solo le classi medie della capitale a sentirsi veramente ‘keniane’”. Nel resto del paese lo stato è visto come un nemico: un’eredità lasciata dalla repressione etnica condotta da Daniel arap Moi, che ha guidato il paese con pugno di ferro dal 1978 al 2002 e “ha aizzato le comunità del paese le une contro le altre”. Con il risultato che quello tra Kenyatta e Odinga sembra essere più uno scontro tra gruppi etnici che una battaglia politica tra visioni diverse del futuro del Kenya.
In questo momento, comunque, i prossimi sviluppi sono di nuovo nelle mani di Odinga, che la scorsa settimana aveva annunciato di voler condurre azioni di disobbedienza civile in tutto il paese, e di voler ricorrere a ogni mezzo legale per contrastare la legittimità della vittoria del suo avversario. Se non saranno presentati ricorsi, tra due settimane Kenyatta presterà giuramento per il suo secondo mandato, ma a questo punto è lecito aspettarsi altri colpi di scena.
I conservatori inglesi