Il presidente e il procuratore
L’esercito di Murdoch guida la controffensiva di Trump contro Mueller, fra realtà parallele e alleati inattesi
New York. La linea difensiva di Donald Trump dopo i primi colpi dell’inchiesta di Robert Mueller consiste nel minimizzare le accuse, attaccare le fake news ed esercitarsi nell’arte che durante la Guerra fredda veniva chiamata whataboutism: per rispondere alle accuse, i funzionari sovietici erano specialisti nel proporre analogie fallaci per mostrare che gli americani erano peggiori di loro. Di fronte all’arresto di Paul Manafort e di Rick Gates, combinato al patteggiamento dell’ex consigliere George Papadopolous, il presidente dice che bisognerebbe indagare Hillary Clinton e i democratici, colpevoli di ben altre nefandezze, e la vera notizia che dovrebbe scuotere Washington è che nella rete di Mueller, associato proprio a Manafort, è finito il lobbista democratico Tony Podesta. Ieri mattina ha twittato: “Le fake news fanno gli straordinari. Come ha detto l’avvocato di Paul Manafort, non c’è stata ‘collusione’ e i fatti citati sono avvenuti molto prima che arrivasse nella campagna. Poche persone conoscevano il giovane, inesperto volontario di nome George, che ha già dimostrato di essere un bugiardo. Controllate i democratici!”. La fase del lavoro di Mueller che è stata rinominata “la fine dell’inizio”, ovvero i sommovimenti che arrivano in coda allo stadio investigativo iniziale, sono declassati dal presidente a distrazioni senza conseguenze. Non c’era collusione con la Russia, Manafort commetteva i suoi crimini da colletto bianco prima della campagna, George era soltanto un garzone che faceva le fotocopie e raccontava balle: non c’è niente da vedere.
Trump, solitamente zelante nel contrattacco, questa volta ha lasciato che il suo apparato mediatico guidasse la controffensiva contro quello che Sean Hannity su Fox ha definito un nothingburger. L’articolato impero di Rupert Murdoch si è da subito mosso in modo coordinato non solo per mostrare la debolezza delle accuse a chi si aspettava materiale da impeachment immediato, ma per attaccare la credibilità di Mueller e chiedere la sua testa. La settimana scorsa, quando si è capito che l’inchiesta sarebbe presto arrivata a una svolta, il Wall Street Journal ha chiesto in un editoriale le dimissioni di Mueller, procuratore manovrato dai nemici di Trump, e domenica un commento di David Rivkin e Lee Casey, ex funzionari del dipartimento di Giustizia sotto Reagan e Bush, suggeriva al presidente di emettere una grazia presidenziale preventivo per tutti quelli che sarebbe stati coinvolti in un’inchiesta politicizzata, lui per primo. Sempre il quotidiano della famiglia Murdoch ha invocato l’apertura di un’inchiesta sul partito democratico a proposito del famoso dossier contro Trump commissionato durante la campagna all’azienda Fusion Gps. Il New York Post ha scritto che l’amicizia fra Mueller e James Comey, ex direttore dell’Fbi cacciato da Trump, e altre storture che derivano dalla sua frequentazione degli ambienti democratici possono essere risolti soltanto con le dimissioni: “E’ tempo per lui di dire bye-bye”.
Poche ore dopo la pubblicazione delle ordinanze e la consegna di Manafort e Gates all’Fbi, gli schermi di Fox hanno preso a trasmettere le stesse parole d’ordine messe in circolo dal Journal e dal Post qualche giorno prima. Screditare Mueller, presentarlo come “unfit” per la guida di un’inchiesta che ha il potenziale per mandare gambe all’aria l’amministrazione viene prima delle minuziose analisi delle carte per dimostrare che non c’è nulla sulla collusione con la Russia. Per una volta qualcuno supera a destra i tweet del presidente. Nel frattempo Tucker Carlson si è ritagliato il suo spazio come anchorman militante che martella in modo ossessivo sul ruolo della famiglia Podesta in traffici che incrociano la vicenda trumpiana e sono stati intercettati dall’inchiesta. Anche in questo caso lo scopo non è la semplice distrazione del pubblico dai problemi che affliggono Trump, ma si scorge chiaramente un piano per contrattaccare e offendere. Si dice che anche Steve Bannon, scorgendo la possibilità di fare fronte comune, abbia ripreso contatti con il presidente per suggerire di lavorare con il partito per togliere finanziamenti all’inchiesta. Se c’è una cosa che le prime carte dimostrano è che Mueller ha la volontà, le risorse e le energie per raccogliere un’immensa mole di materiale probatorio. Alla Casa Bianca molti sono stati spaventati dall’immensa prova di forza investigativa più che dai risultati fin qui ottenuti dal team.
Va notato che, nonostante il Wall Street Journal abbia sollevato perplessità su Mueller dai tempi della sua nomina, la linea editoriale è stata a lungo estremamente critica verso Trump, bollato giusto qualche mese fa come “fake president”. La strategia difensiva mostra che qualcosa è cambiato. Fox ha appena inaugurato la nuova line up, con l’inserimento della trumpiana Laura Ingraham nello slot delle dieci di sera, e gli anchorman più sbilanciati verso il presidente stanno dando grandi soddisfazioni allo Squalo, sempre affamato di ascolti. Lo scopo dell’operazione è il consolidamento della realtà alternativa in cui vive la base trumpiana, quella per cui “lunedì non è cambiato nulla”, come ha scritto il conservatore David French sul New York Times. Ovviamente la pattuglia di Newscorp può contare sull’aiuto del vasto sottobosco, invisibile ma con altissima capacità di penetrazione, dei network intransigenti e cospirazionisti che suonano continuamente i tamburi del complotto. Questa volta però ha ricevuto anche l’auto inaspettato di altri media conservatori assai critici verso Trump e ben disposti nei confronti di Mueller. La National Review ha pubblicato diverse analisi che minimizzano l’impatto di ciò che è uscito finora sulla presidenza. In particolare Andrew McCharty, opinionista ed ex procuratore a New York, sostiene addirittura che il caso di Papadopolous, considerato da alcuni quello davvero pericoloso per Trump, in realtà aiuta il presidente, perché mostra che i vertici della campagna hanno rifiutato le offerte di incontrare funzionari del Cremlino che il maldestro consigliere continuava a presentare ai vertici della campagna. Una strategia difensiva a diverse velocità per affrontare “la fine dell’inizio”, in attesa di quello che verrà dopo.