La ferita di New York
Sayfullo Saipov, lupo non proprio solitario, ha colpito nel luogo in cui il male non si è mai rimarginato
New York. A due passi dal luogo dell’attentato di Lower Manhattan c’è il Memorial dell’11 settembre, con le profonde fontane nere disegnate sul perimetro delle torri che non ci sono più. Sono ferite nel costato della città, e l’acqua che scorre senza sosta verso un fondo invisibile sembra non voler permettere che si rimarginino. Pietosi angeli con badge e pettorina mettono una rosa bianca sul nome inciso delle vittime che quel giorno compiono gli anni. Accanto al memorial c’è il museo, meraviglia architettonica sotterranea dove l’orrore del giorno indimenticabile si rivive passo dopo passo, attraverso i messaggi, le immagini, la concitazione, le scarpe abbandonate, le reazioni scomposte, un turbine di frammenti emotivamente caricati che rende l’attacco “molto forte e incredibilmente vicino”, come da romanzo di Jonathan Safran Foer.
E’ un racconto al presente, in soggettiva, senza prospettiva storica. Visitando quei luoghi si capisce che a New York l’èra post 11 settembre non è mai cominciata, la condizione di città offesa dalla furia del radicalismo islamico non è mai stata messa alle spalle, e nel gioco dei simboli la rappresentazione della ferita rimarginata spetta alla Freedom Tower. Il suo slancio poderoso è una dimostrazione di forza al cospetto del male che minaccia l’America e la civiltà occidentale. All’ombra di quella Torre è avvenuto il primo attacco terroristico compiuto con successo dopo l’11 settembre 2001. La metropoli che vive nell’eterno presente dello scontro con il terrorismo islamico non ha mai perso confidenza con la paura. C’è stata l’autobomba inesplosa a Times Square nel 2010, gli ordigni senza vittime di Chelsea, il plot sventato di un attacco in metropolitana e decine di altre minacce allontanate prima ancora che potessero materializzarsi dal più elaborato, pervasivo e strutturato servizio di sicurezza del mondo. Quando si parla del Nypd e delle sue ramificazioni fra le varie agenzie d’intelligence e nei gangli militari è più corretto accostarlo a un esercito che a un semplice dipartimento di polizia.
Nessuno dei piani per colpire una volta ancora il cuore dell’America, secondo il mito qaidista del “secondo colpo” che avrebbe dimostrato senza appello la debolezza dell’occidente, è stato portato a termine fino alla folle corsa di Sayfullo Saipov, il 29enne uzbeko che ha ucciso con la meno convenzionale delle armi, un furgone, resa tragicamente comune dalla creatività omicida dello Stato islamico. Per anni il luogo dove si sono condensate le paure di nuovi attacchi è stata la metropolitana, trappola claustrofobica usata in decine di film d’ambientazione newyorchese prodotti molto prima dell’11 settembre. Saipov è arrivato invece alla luce del sole, nel giorno in cui i bambini sono in giro a fare trick or treat, alle tre del pomeriggio ha inseguito ciclisti che godevano degli ultimi sprazzi di questa lunga indian summer. Saipov non ha colpito in un punto generico di New York. Nel tratto di pista ciclabile che ha percorso su West street, lungo il fiume Hudson, nel tratto compreso fra Houston street e Chambers, la Torre della libertà domina incontrastata l’orizzonte, e subito nei circuiti social del jihadismo hanno preso a circolare volantini con la Statua della libertà insanguinata e lo skyline fumante. Una foto mostra una mano che tiene un iPhone, e sullo schermo c’è la bandiera nera dello Stato islamico, mentre sullo sfondo si erge la torre. Non è stata scattata molto lontano dal luogo dell’attentato.
Con il passare delle ore Saipov sta diventando un attentatore sempre meno solitario, secondo uno schema ampiamente noto. Gli investigatori hanno scoperto le tracce di un lungo processo di radicalizzazione chiaramente notato da quelli intorno a lui, come l’imam della Florida che gli aveva suggerito di studiare di più la religione prima di dedicarsi con zelo alle pratiche esteriori. Era finito sotto il radar delle autorità federali per via dei contatti con un altro uzbeko indagato dalla polizia di New York. Donald Trump ha disposto un inasprimento delle procedure di controllo alla frontiera e ha chiesto al Congresso di abolire la lotteria che ogni anno concede green card agli stranieri secondo un sistema di quote. Il senatore John McCain propone di trattarlo come un enemy combatant, un nemico di guerra, e dunque di trasferirlo a Guantanamo senza leggergli i diritti. Gli eventuali collegamenti diretti con lo Stato islamico a cui ha prestato giuramento sono la prima cosa che gli agenti dell’Fbi che lo stanno interrogando all’ospedale vogliono capire. Di certo l’attentato era stato concepito e pianificato per settimane. Saipov ha scelto il luogo in cui la ferita della città non s’è mai rimarginata.