Perché Puigdemont non dovrebbe contare sulla solidarietà del Belgio
Le Fiandre non sono la Catalogna ma la visita del leader spagnolo rischia di portare alla luce tutte le contraddizioni interne alla coalizione di governo belga
Roma. Quando lo scorso 1° ottobre la polizia spagnola ha usato la forza su alcuni elettori catalani che andavano a votare per il referendum sull’indipendenza, l’unico leader europeo a condannare le violenze è stato il premier belga Charles Michel. Da tre anni il liberale francofono guida un governo di coalizione che si regge su un equilibrio precario, dove i separatisti della Nuova alleanza fiamminga (N-VA) sono il partito di maggioranza. In modo tempestivo, Michel aveva mandato un messaggio in linea con le aspettative dei suoi alleati nazionalisti, mantenendo allo stesso tempo una posizione sufficientemente moderata. Ma ora che il governatore catalano Carles Puigdemont è arrivato a Bruxelles, la sua permanenza in Belgio rischia di portare alla luce tutte le contraddizioni interne alla coalizione al governo. Il primo messaggio di benvenuto diretto all’ex governatore catalano è arrivato dal ministro belga per l’Asilo e l’Immigrazione, Theo Francken, che ha definito “non irrealistica” l’ipotesi di una richiesta di asilo da parte di Puigdemont, che pure ieri ha negato di trovarsi in Belgio per sfuggire alla giustizia spagnola. Francken è considerato l’astro nascente dei separatisti fiamminghi, esponente della linea più dura del partito e probabile candidato alle elezioni del 2019. Ma la sua dichiarazione, oltre a rischiare di aprire una frattura con i partiti al governo, ha anche incoraggiato le voci su un ipotetico effetto domino dell’indipendentismo catalano.
L’N-VA ha sempre assunto una posizione ambigua sugli ultimi sviluppi in Catalogna, spiega al Foglio Emmanuel Dalle Mulle, ricercatore all’Istituto di Studi internazionali di Ginevra. “I separatisti fiamminghi sono divisi tra una naturale tendenza a vedere con favore gli eventi catalani e la necessità di non esprimere questa simpatia troppo apertamente per evitare tensioni all’interno dell’attuale governo”. Ma le Fiandre non sono la Catalogna. “Bisogna ricordare che la popolazione fiamminga è la maggioranza della popolazione belga e partiti come l’N-VA possono imporre la propria linea politica a livello federale, cosa che invece è impossibile in Spagna”, dice Dalle Mulle. “In secondo luogo, non c’è nelle Fiandre un sostengo popolare all’indipendenza tanto diffuso come in Catalogna. Benché i dati varino da un sondaggio all’altro, il sostegno alla secessione rimane sempre compreso tra il 6 e il 12 per cento della popolazione fiamminga, mentre in Catalogna gira attorno al 40-45 per cento”. Sebbene per l’N-VA sia vitale usare la minaccia indipendentista per imporre al governo la propria agenda politica ed economica, per ora i separatisti preferiscono restare su posizioni più moderate. “La N-VA è uno strano animale politico: un partito ufficialmente separatista che raccoglie circa il 30 per cento dei voti fiamminghi, il che ne fa anche il primo partito belga. Tutto ciò non sarebbe possibile senza una politica che riesce a mettere assieme diverse anime, alcune interessate più al programma socio-economico, altre a quello securitario e altre ancora a quello istituzionale”.
Eppure ci sono anche somiglianze fra il separatismo catalano e quello fiammingo, esempi di “nazionalismo delle regioni ricche”. “Entrambi si basano su un solido substrato culturale e linguistico”, spiega Dalle Mulle. “Inoltre, entrambi dipingono l’indipendenza come uno strumento per ottenere più benessere per la popolazione locale attraverso il recupero delle risorse ‘sprecate’ dal governo centrale”. Per ora, il precedente catalano sembra ancora lontano dal replicarsi.