Joseph Mifsud

Un pezzo dell'indagine sulle interferenze russe in America passa per Roma

Daniele Raineri

L’ateneo che guarda a Mosca. C’è profumo di Italia nell’inchiesta che prova a incastrare Trump

Roma. L’indagine giudiziaria sulle interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane del 2016 ha portato l’attenzione su due persone nuove. Una è George Papadopoulos, che ha fatto parte dello staff dei consulenti di politica estera di Trump durante la campagna elettorale, e l’altra è Joseph Mifsud, un professore maltese che secondo le accuse nell’aprile 2016 avrebbe promesso a Papadopoulos informazioni compromettenti contro Hillary Clinton raccolte dal governo russo. L’indagine fa assumere nuovo valore a informazioni che riguardano i due, vediamole assieme. Una fonte del Foglio a Washington, che non vuole che il suo nome sia pubblicato, racconta che poco dopo le elezioni il nome del giovane Papadopoulos circolava molto tra gli esperti nella capitale americana che si occupano di medio oriente, assieme a quello di Walid Phares. Il rumor diceva che Phares si sarebbe occupato di Egitto e Libano e che Papadopoulos sarebbe diventato l’uomo di Trump per la Siria come “senior Middle East advisor”. Gli esperti mettevano in discussione le credenziali del giovane, che parla ebraico ed è specializzato nel settore energetico, e ci fu da parte loro un tentativo debole di mettersi in contatto con lui, che sarebbe dovuto arrivare a Washington dopo il giorno del Ringraziamento. Era considerato un esempio perfetto di quei mesi di transizione in cui si parlava dell’assegnazione di persone senza alcuna esperienza a compiti importanti e naturalmente quel ruolo – “the Syria guy” – era considerato molto importante perché ci si aspettava che Trump avrebbe cambiato in modo drastico la linea che riguarda la Siria e che si sarebbe allineato con la politica russa. Ma i rumors su Papadopoulos cessarono prima dell’inaugurazione, lui non ottenne alcun ruolo nell’Amministrazione e il suo nome svanì dai discorsi, fino a due giorni fa.

 

 

Joseph Mifsud è il professore maltese che secondo gli investigatori guidati dal procuratore speciale Robert Mueller avrebbe promesso al giovane consulente Papadopoulos informazioni compromettenti contro Hillary Clinton in possesso dei russi. Il suo nome non è citato in modo esplicito negli atti dell’inchiesta, ma è stato identificato dal Washington Post e ieri ha ammesso di essere lui il professore citato, ma ha negato tutte le accuse: “Ridicole”. Mifsud ha un ufficio a Roma, dove è presente molto spesso e lavora per l’università privata Link Campus University, in un bel gruppo di edifici antichi nel verde vicino all’Aurelia. Gli impiegati romani ancora non si rendono conto dell’importanza che in teoria la figura di Mifsud potrebbe avere se le accuse sono fondate – sarebbe il trait d’union tra la Russia e un consulente minore ma pur sempre organico alla campagna elettorale vittoriosa di Trump – e dicono che domenica era a Roma, ma non il giorno prima “perché viaggia sempre”. Un pezzo interessante pubblicato nell’ottobre 2016 da Eurasiatx – “l’agenzia di stampa dell’Eurasia” – è intitolato: “Link Campus guarda all’Eurasia, nasce il centro Lomonosov” e spiega che nel campus romano starebbe per nascere un centro legato alla prima università statale di Mosca, la Lomonosov. La partnership con l’università russa è funzionale all’espansione dell’ateneo romano che passa per un progetto di capitalizzazione in Borsa. Sarebbe la prima volta che un centro russo aiuta un’università privata italiana, con l’apertura di un centro di ricerche, e viene da chiedersi se il professor Mifsud abbia un ruolo in questa connessione. Mifsud è tra le altre cose membro del club Valdai, che è un po’ la Davos del mondo putiniano, l’incontro ad alto livello a cui il presidente russo non manca mai sin dall’inaugurazione nel 2004. A quanto risulta al Foglio, la partnership tra l’università italiana e la Russia – un po’ come il ruolo di Papadopolous, chiacchierato e mai materializzatosi – non è poi decollata come si sperava l’anno scorso.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)