Il capo delle Farc, Rodrigo Londoño Echeverri in un videomessaggio

Chi è Timochenko, l'ex capo delle Farc che vuole fare il presidente della Colombia

Angela Nocioni

Aveva sulla testa una taglia da 5 milioni di dollari e ha partecipato ad alcuni dei crimini più terribili del gruppo guerrigliero, ma dopo la pace si è candidato alle elezioni. Storia di un maestro di doppiezza

Chiunque in Colombia lo conosce come Timochenko, il nome di battaglia delle Farc (Forze armate rivoluzionarie di Colombia) la narcoguerriglia dall’ideologia marxista di cui lui è stato l’ultimo capo e in nome dalla quale, da capo, ha guidato la trattativa con il governo Santos per un accordo di pace firmato all’Avana - sotto la protezione dei fratelli Castro e fortemente voluto dal Vaticano - poi bocciato da un referendum popolare, ma comunque recepito dalla legislazione colombiana e del tutto valido.

 

All’anagrafe risulta registrato come Rodrigo Londoño Echeverri e con questo nome sarà il candidato alle prossime presidenziali colombiane della lista delle Farc, Fuerza alternativa revolucionaria del común (Farc, ancora), partito politico della ex guerriglia riconosciuto come soggetto avente personalità giuridica da parte del Consiglio nazionale elettorale e come tale abilitato a partecipare alle elezioni.

 

Basso, tozzo, barbuto, ormai cinquantottenne, nelle ultime foto in pubblico con un girovita che sottolinea quanto siano lontani gli anni della selva e con quale riguardo gli chef specializzati in cucina criolla trattino gli ospiti di Raul Castro, Timochenko con il suo annuncio ha fatto esplodere il già incandescente dibattito politico colombiano.

Che l’accordo di pace preveda la garanzia di una rappresentanza politica della ex guerriglia è un concetto metabolizzato dall’opinione pubblica colombiana, anche se una quota consistente rimane contraria all’accordo. Ma da qui a permettere ai capi della guerriglia di partecipare alle elezioni, passando così dalla mimetica al doppiopetto senza aver saldato un conto nemmeno simbolico per i crimini commessi, sostengono in molti, ce ne corre. Per questo il procuratore generale della repubblica sta cercando di studiare un impedimento per evitare la candidatura.

 

Fatto sta che al momento Timochenko è candidato presidente. Così come la lista elettorale per il Senato è aperta da Iván Márquez, Pablo Catatumbo e Carlos Antonio Lozada, ossia dal segretariato delle Farc, l’ex governo interno della guerriglia, il comitato che decideva tutto, stragi comprese.

Timochenko non sta benissimo. E’ in una clinica cubana dove è stato ricoverato per le conseguenze di un ictus. Quasi non parla.

All’Avana è stato lui, per un tempo politicamente infinito, a dirigere la complessa trattativa per l’accordo con il presidente Santos, ex ministro della Guerra dei tempi della presidenza Uribe, il più temibile nemico militare che la Farc abbiano mai avuto, poi diventato il loro interlocutore politico nella contrattazione dell’accordo. Per Timochenko è stato difficile più far digerire ai suoi che agli interlocutori i passaggi fondamentali dell’accordo.

 

Un dettaglio fotografa il gioco delle parti e il teatrino delle ambiguità dei mesi estenuanti delle ultime trattative. Un giorno all’Avana si presenta Paulo Catatumbo ai giornalisti e, come portavoce delle Farc nonché come membro del Segretariato, dice: “Noi, Farc, abbiamo lottato per raggiungere questo accordo finale di pace, nonostante le resistenze del governo, per esempio, a parlare di modello economico. Quello che abbiamo davanti agli occhi è un accordo che offre strumenti per risolvere con mezzi democratici le nostre differenze e porre fine a un conflitto lungo più di cinquant’anni. Per noi questo accordo rappresenta una porta aperta per la gente che dovrà continuare a lottare e difendere il territorio in condizioni finalmente democratiche e favorevoli all’esercizio dell’opposizione. Il paramilitarismo è la maggior minaccia agli accordi raggiunti con il governo”.

 

Chi scrive ha sentito con sue orecchie lo stesso Catatumbo, pochi giorni dopo quest’annuncio, sprofondato in una conversazione a due in una poltroncina in vimini nel giardino dell’Hotel Nacional dll'Avana, ignaro di essere ascoltato, dire con tono assai alterato: "L'accordo ci viene imposto da Castro d'accordo con Timochenko, la pace non è fatta per niente, la stretta di mano tra Timochenko e Santos ci danneggia moltissimo perché si dice ormai in ambienti a noi vicini che le Farc stringono la mano di chi ha fatto uccidere i nostri". Timochenko è abilmente sopravvissuto a questa ed altre doppiezze, comprese le sue.

 

Alla religione dell’ipocrisia è stato educato a dovere da scuole comuniste adibite alla funzione: ha studiato all’Avana e nella Jugoslavia di Tito, oltre che all’Università “Patricio Lumumba” di Mosca, dove offrivano borse di studio ai figli degli amici di partiti considerati fratelli (i suoi genitori erano amici di Manuel Marulanda, vecchio capo delle Farc).
Nella guerriglia è entrato nel 1982. Rapida ascesa. Fu lui a decidere la strategia di cominciare ad attaccare le città, di non limitarsi alla selva. Contro di lui sono stati spiccati centinaia di mandati d’arresto. E’ accusato di aver partecipato ad alcuni dei crimini più noti (perché più politici) delle Farc: il sequestro dell’ex governatore Alan Jara nel 2001 e l’attentato al club El Nogal di Bogotà nel 2003. Oltre che di una lunga lista di reati che va dal coordinamento politico e militare della guerriglia all’ordine di uccidere i contadini considerati traditori perché accusati di vendere coca ai rivali trafficanti delle Farc.

 

Ora la Colombia si ritrova candidato alla presidenza della Repubblica un uomo sulla cui testa il dipartimento di stato statunitense aveva messo una taglia da cinque milioni di dollari, il massimo. Ce ne è abbastanza per infiammare la campagna elettorale.

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