Raqqa. Foto LaPresse/Erik De Castro

L'America ha battuto l'Isis ma il bottino di guerra va all'Iran

Daniele Raineri

La pressione militare degli "imperialisti" ha sconfitto i fanatici di Al Baghdadi. Sui territori liberati arriva lo strapotere di Teheran

Roma. La guerra contro lo Stato islamico è arrivata a pochi giorni, forse a poche ore, dalla fine. Guerra è un termine preciso e indica la lotta contro un nemico che governa e controlla un territorio in pianta stabile: è fin troppo scontato dire che dopo la fine della guerra ci sarà un periodo più o meno lungo di attacchi terroristici, azioni mordi e fuggi, intimidazioni e uccisioni. Intanto però l’ultima città da liberare è già stata circondata, si tratta di al Bukamal, in Siria ma sul confine con l’Iraq, a un tiro di sasso dalla città gemella al Qaim, che è appena stata liberata. Escono già notizie di vittoria molto poco accurate, ma forse ci vorrà un po’ di tempo in più agli assedianti, che in questo caso sono le forze del governo siriano da un lato e le milizie sciite irachene dall’altro, per annunciare la fine della guerra. Poi comincerà una lunga sequenza di rastrellamenti e di pattugliamenti nel deserto, di bombardamenti, di imboscate e controimboscate, ma lo Stato islamico non potrà più piantare una bandiera e dire: qui è mio, come fece a Fallujah nel gennaio 2014, ormai quasi quattro anni fa. E’ assai probabile che lo Stato islamico ad al Bukamal adotti anche questa volta la strategia del dissolversi nel nulla prima di subire perdite reali.

 

Mosul è stata l’ultima battaglia fino all’ultimo uomo. Poi sono venute Raqqa, dove i baghdadisti superstiti hanno abbandonato il centro città grazie a un accordo di capitolazione, Tal Afar e Hawija, dove i combattenti si sono arresi a migliaia oppure sono fuggiti, al Qaim, che doveva cadere nel giro di qualche mese e invece è stata liberata in pochi giorni. Lo Stato islamico logorato da una pressione militare fortissima risparmia le forze e i combattenti, tenta di sottrarsi, non ci sono più uomini da sprecare. Chi ha applicato di più questa pressione militare fortissima, chi è stato al centro della campagna che ha buttato giù lo Stato – e ha fatto un gran favore a tutti? L’America. Sembra già di sentire le proteste di chi dice che però la Russia, Assad, l’Iran, i curdi, i libici e i soldati iracheni, ma questa vittoria finale è possibile soprattutto grazie a un fattore: le più di centomila bombe di precisione che in tre anni – a partire dall’agosto 2014 – hanno disarticolato e azzerato la struttura dello Stato islamico, distruggendo un numero infinito di bersagli paganti, dalle semplici posizioni dei cecchini ai nascondigli dei grandi capi. Durante la battaglia per prendere Raqqa a un certo punto i raid americani hanno toccato il ritmo di uno ogni otto minuti. Il vecchio motto militare “l’artiglieria conquista e poi la fanteria occupa” quasi potrebbe essere aggiornato in: “I bombardamenti dall’alto conquistano, poi la milizia locale occupa”.

 

Se c’è un’arma simbolo di questo conflitto sono le bombe di precisione, capaci di colpire la singola finestra di un edificio, e gli unici ad avere quel tipo di arma nelle quantità necessarie erano gli americani. E accanto all’America, c’era tutto un apparato di appoggio occidentale oppure filo occidentale molto discreto – per esempio l’Italia ha fornito un numero enorme di voli di sorveglianza con droni e Tornado sull’Iraq, l’intelligence della Giordania ha dato informazioni essenziali, molti governi europei hanno mandato armi e istruttori militari ai curdi. Ora che questa guerra così fuori dai canoni finisce, l’America si prepara a lasciare il campo senza avere acquisito alcun vantaggio o interesse. “Imperialisti” senza bottino, che invece andrà tutto o quasi ai “rivoluzionari” iraniani. Il Kurdistan, territorio amico nel nord dell’Iraq, è in una fase di debolezza estrema. Il Kurdistan siriano, dove gli americani hanno costruito alcune basi militari, rischia di fare la stessa fine di quello iracheno perché due giorni fa una portavoce del governo di Bashar el Assad ha definito la crisi dei curdi iracheni “un esempio che sarà seguito” per eliminare chi si oppone all’integrità del paese. L’Iran e la Russia, rivali di Washington, hanno lasciato che gli americani usassero la loro superiorità tecnologica contro il nemico comune, lo Stato islamico, ma ora non vedono l’ora di buttarli fuori dal teatro di operazioni. Le milizie filo iraniane in Iraq già minacciano di scatenare una guerriglia contro le truppe americane nel paese.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)