Escalation saudita
Da dove vengono i missili che colpiscono l'Arabia Saudita? Gli americani dicono: “Fabbricati dall’Iran”. Saad Hariri intanto riceve diplomatici stranieri a Riad, “ma non sembra libero di parlare”
Roma. Ci sono due misteri che in questo momento riguardano la situazione molto tesa fra Libano e Arabia Saudita. Il primo: chi ha dato ai combattenti houthi i missili balistici che sparano contro Riad? Venerdì il il generale americano Jeffrey Harrigian, che comanda l’aviazione del Central Command – il settore del Pentagono che segue le guerre in medio oriente – ha detto che il missile di tipo Scud (è un Burkhan 2, in arabo “Vulcano”) che è stato intercettato la sera di sabato scorso sopra l’aeroporto internazionale di Riad “è di fabbricazione iraniana e ne porta i segni”. Ma non ci sono immagini dei resti e non si sa ancora come gli iraniani portino i missili balistici in Yemen, un paese circondato da un blocco di sorveglianza per impedire le forniture di armi. Gli esperti notano che la gittata dei missili aumenta in modo progressivo: gli houthi hanno cominciato nel 2015 con una prima versione più leggera da 250 km, che a marzo 2016 è stata migliorata per volare per 400 km, abbastanza per colpire le basi militari a ridosso del confine; poi il 9 ottobre 2016 hanno lanciato un missile tipo Scud contro la base aerea di re Fahd, a 525 km dal confine; il 28 ottobre hanno attaccato l’aeroporto civile di Jeddah, a 630 km dal confine; a febbraio 2017 sono arrivati alla capitale Riad, 800 km di volo, che si pensava fosse fuori gittata; e poi hanno continuato, a luglio e infine sabato scorso. In quasi ogni occasione gli attacchi sono stati intercettati dalle batterie di missili Patriot americani (in almeno undici occasioni nel 2016), ma quello di sabato scorso – lanciato poche ore dopo le dimissioni in tv di Hariri – ha fatto infuriare l’erede al trono Mohammed bin Salman.
Il secondo mistero: le condizioni del primo ministro libanese Saad Hariri, che formalmente è un alleato dell’Arabia Saudita ma che secondo i suoi compagni di partito a Beirut è trattenuto a Riad, capitale saudita, contro la sua volontà dopo avere annunciato le dimissioni sabato scorso con un messaggio tv dall’estero che ha lasciato il suo paese sbigottito. L’aspetto più bizzarro a proposito di Hariri è che lui ha incontrato nel frattempo una schiera di visitatori: giovedì l’ambasciatore britannico, quello delle Nazioni Unite e un diplomatico americano, venerdì l’ambasciatore russo e quello italiano. Ma, nota una fonte diplomatica anonima con il New York Times, “ho avuto l’impressione che non fosse libero di parlare”. Il ministro degli Esteri francese venerdì ha detto che Hariri è libero di muoversi, ma intanto in patria il capo del Partito di Dio, Hassan Nasrallah, quindi il nemico mortale dei sauditi e il rivale libanese di Hariri, ne ha approfittato per dire in tono irrisorio che “ogni insulto al primo ministro è un insulto a tutto il paese”. Nasrallah si sente forte perché, come ha sottolineato nel discorso, i sauditi non sono ancora riusciti a prevalere in Yemen, figurarsi se possono pensare di scatenare una guerra contro il Libano. Però poi ha aggiunto che stanno pagando Israele perché faccia la guerra al posto loro. Daniel Shapiro, ex ambasciatore israeliano a Washington e ora commentatore, dice che un conto è essere allineati dalla stessa parte contro la minaccia iraniana, un altro sarebbe seguire alla cieca gli impulsi del giovane principe saudita. Insomma, Gerusalemme non vuole farsi dettare i tempi di quel secondo round di guerra contro Hezbollah, che pure considera inevitabile dal 2006, dai sauditi furiosi per i missili houthi. Nasrallah nel suo discorso ammette che il clima di normalità e di nonchalance che fino a oggi ha coperto il potere di Hezbollah in Libano è finito. I sauditi stanno infilando una serie di manovre pericolose una dietro l’altra – vedi il viaggio lampo fatto giovedì dal presidente francese, Emmanuel Macron, per consigliare cautela e prudenza a Bin Salman – ma stanno accendendo un faro sulle manovre dell’Iran. In questo contesto c’è da ricordare che l’Amministrazione Trump è una delle più anti iraniane di sempre (e molte altre non sono state tenere) e che finora ha dato carta bianca ai sauditi.