La guerra di Trump alla Cnn si sposta dai tweet alle minacce dell'antitrust
L'intrigo dietro la fusione fra AT&T e Time Warner
New York. La mastodontica fusione di At&T e Time Warner si è trasformata da complicato affare da 85 miliardi di dollari in rovente caso politico quando, mercoledì scorso, i funzionari del dipartimento di Giustizia hanno comunicato ai colossi in cerca di approvazione dall’antitrust le condizioni per il merger. Ci sono due strade per ottenere l’autorizzazione a procedere: scorporare DirectTv, il provider di servizi via satellite che fa utili favolosi, oppure vendere Turner Broadcasting, la sussidiaria che controlla la Cnn, il network che si distingue più per la battaglia permanente con Donald Trump che per le performance. La strana coincidenza ha immediatamente fatto scattare il sospetto: non è che Trump sta usando il suo potere per danneggiare la rete che odia sopra ogni altra, quella che si è meritata la creazione della categoria separata delle “very fake news”, mentre le altre devono accontentarsi di un semplice “fake”? Nessun network si è meritato il retweet di Trump che mena sul ring di wrestling un lottatore con il logo della Cnn sul volto, a nessun altro ha predetto la cacciata del presidente, Jeff Zucker, e a nessuno ha riservato gli speciali insulti offerti ai cronisti della Cnn.
A corroborare l’ipotesi che l’artista del deal stia appunto bloccando un deal per interessi squisitamente politici c’è la totale assenza di motivazioni legali fin qui presentate. Il dipartimento di Giustizia non ha spiegato perché la cessione di Cnn renderebbe accettabile l’operazione in termini di competizione, ma è forte dello scetticismo diffuso attorno alla creazione di un mostro mediatico e di telecomunicazioni senza precedenti. Così la malcelata aggressione alla Cnn finisce per accordarsi meravigliosamente con il sentimento popolare, e la cosa non riguarda soltanto la base di Trump. Un altro indizio della manovra politica coordinata riguarda la fasulla alternativa offerta dal dipartimento di giustizia, ovvero vendere DirectTv. At&T dipende in maniera pressoché totale da questo servizio per quanto riguarda la distribuzione di contenuti via satellite, quindi anche ammettendo che l’azienda sia disposta a privarsi di un asset che fa utili per mettere mano su una preda più ambita, perderebbe capacità tecnologiche talmente essenziali da cancellare il senso stesso dell’operazione. E’ il classico gioco che non vale la candela, e il dipartimento di giustizia lo sa.
Niente di tutto questo dovrebbe sorprendere. Oltre un anno fa, poco prima delle elezioni, Trump ha castigato la fusione come esempio delle “strutture di potere mediatico” che si stanno creando contro di lui, e al pubblico radunato per il comizio ha ricordato esplicitamente che “At&T sta comprando Time Warner, e quindi la Cnn”. Infine, la promessa: “La mia amministrazione non approverà questo accordo”. Il presidente sta semplicemente mantenendo la promessa elettorale, ma per farlo con agio deve mostrare pubblicamente che sta soltanto combattendo la buona battaglia con l’inquietante oligopolio delle telecomunicazioni, e la Cnn è un danno collaterale.
Anche Amazon è stata oggetto delle critiche del Trump in versione paladino della concorrenza, e non è difficile capire che l’obiettivo in quel caso è contrastare la spigolosa copertura del Washington Post, di proprietà di Jeff Bezos. Siamo ancora una volta in pieno territorio nixoniano. A suo tempo Nixon aveva agitato la minaccia dell’antitrust per contenere i giornalisti televisivi in campagna permanente contro di lui. L’intrigo presidenziale intorno alla Cnn va letto anche nel contesto del riposizionamento di un’altra “struttura di potere mediatico”, quella di Rupert Murdoch. Negli ultimi mesi la galassia di Newscorp, che comprende fra gli altri Fox News e il Wall Street Journal, ha compiuto una spettacolare operazione di riallineamento trumpiano, riducendo al minimo le voci critiche e valorizzando quelle favorevoli al presidente. Allo Squalo non dispiacerebbe affatto vedere la Cnn affondare.