Salah Abdeslam, uno dei terroristi di Parigi (foto LaPresse)

L'unico sopravvissuto del commando di Parigi potrebbe parlare a breve

Luca Gambardella

A due anni dagli attentati, Salah Abdeslam resta in regime di carcere duro e per i medici la sua salute mentale è a rischio. Ora però anche i giudici di Bruxelles vogliono interrogarlo e lui ha detto di volere parlare

Roma. A due anni dall'attentato di Parigi in cui rimasero uccise 130 persone, l'unico membro del commando dello Stato islamico ancora in vita è rinchiuso nel carcere francese di Fleury-Mérogis in regime di massima sicurezza e continua a rimanere in silenzio. Salah Abdeslam, "il detenuto più sorvegliato di Francia" come lo definiscono i media, da venti mesi rifiuta di parlare al procuratore e ai suoi stessi avvocati. La mole di prove e testimonianze raccolte dagli inquirenti per ricostruire la dinamica e identificare i protagonisti dell'attacco che finora sono rimasti nell'ombra ammonta a "oltre 200 tonnellate" di documenti, secondo quanto riferito a Franceinfo dal procuratore francese François Molins. Si tratta di un'inchiesta mastodontica che gli inquirenti contano di chiudere non prima della primavera del 2019. Un'attesa infinita che a lungo andare potrebbe persino portare alla scarcerazione di Salah nella primavera del 2020, quando scadrà il termine di carcerazione provvisoria (che in Francia dura quattro anni).

 

Salute mentale a rischio

 

Oggi Salah è sottoposto a un regime di carcere speciale su cui vige un certo mistero e che in parte è stato svelato dal Monde un paio di mesi fa. Otto agenti sono impiegati in un piano di sorveglianza di 24 ore su 24, che si articola in uno spazio di quattro celle diverse (una dove è rinchiuso Salah, una di riserva, una che ospita gli impianti di video-sorveglianza e un'altra con una piccola palestra). Il giovane, che è sempre in isolamento, ha con sé solo un Corano e un tappeto per pregare e ha a disposizione due ore al giorno per una passeggiata. Da qualche mese però i medici di Fleury-Mérogis hanno lanciato l'allarme: Salah comincia a mostrare i primi sintomi di paranoia e irritabilità e la sua salute mentale risente del regime di carcere duro. Così, la necessità di tutelare fino al giorno del processo l'equilibrio mentale dell'unico che è in grado di spiegare come furono organizzati gli attentati di Parigi ha convinto le autorità ad ammorbidire le sue condizioni di vita (per esempio, è stata montata una finestra in plexiglas nella sua cella per permettere il filtraggio della luce). Lo scorso giugno un parlamentare repubblicano, Thierry Solère, aveva fatto visita a Salah in carcere per verificare le sue condizioni e scriverne sul Journal du Dimanche. Salah aveva chiesto simbolicamente 1 euro di danni a Solère, che nel suo articolo aveva sottolineato un'insospettabile ossessione del giovane per la pulizia.

 

Viaggio a Bruxelles?

 

Dopo 126 giorni di fuga, l'attentatore di Parigi fu catturato a Bruxelles il 18 marzo del 2016 grazie a un'operazione congiunta della polizia francese e belga in cui rimasero feriti tre agenti. E' per questo che il prossimo 18 dicembre Salah è atteso in Belgio per rispondere davanti ai giudici del reato di "tentato omicidio di più agenti di polizia in un contesto terroristico". E a sorpresa, nonostante il suo silenzio ostinato, Salah ha detto agli inquirenti di volere partecipare al processo in Belgio e, soprattutto, che stavolta ha intenzione di parlare. Con ogni probabilità, nei prossimi giorni il detenuto sarà trasportato in elicottero a Bruxelles tra misure di sicurezza eccezionali, dato che un trasferimento via terra è considerato troppo pericoloso. I parenti delle vittime francesi sono insorti: "Per quale ragione questo personaggio che non risponde a nessun giudice in Francia vorrebbe essere processato in Belgio? Viene da chiedersi se non sia un tentativo di sfuggire alle autorità francesi", ha detto l'avvocato di uno delle vittime all'agenzia di stampa France Press, che parla anche di timori di evasione o persino di "un altro attentato".

 

Niente avvocati

 

Salah continua a non volere un avvocato perché, come ripete da mesi, per l'islam più radicale essere assistiti da un legale è haram. Entrambi i suoi avvocati ingaggiati dai parenti del giovane, uno francese e uno belga, hanno rimesso il proprio incarico – anche se non in via ufficiale – proprio perché convinti che il loro assistito non si deciderà mai a parlare. Salah è uno "stronzetto" con "l'intelligenza di un posacenere vuoto", aveva detto senza mezzi termini Sven Mary, l'avvocato belga che lo assisteva. Lui e il collega francese Frank Berton avevano definito "inutili" le loro visite in carcere a Salah ma oggi il fratello dell'attentatore – scrive il magazine francese Obs – continua a supplicare Mary di ripensarci.

 

Dal giorno del suo arresto a oggi Salah ha fornito una sola ricostruzione degli attentati del 2015, ritenuta parziale e contraddittoria da chi indaga. Il suo ruolo sarebbe stato marginale, di semplice autista, aveva detto Salah. Ma dati gli intrecci (provati) tra la cellula terroristica che ha colpito Parigi e quella di Bruxelles, se Salah avesse svelato i dettagli della preparazione degli attacchi in Francia avrebbe potuto evitare quello nella capitale belga, avvenuto pochi giorni doppio suo arresto, il 22 marzo. Lui continua a negare ogni coinvolgimento attivo negli attentati e non tradisce alcun segno di pentimento. In una lettera privata inviata mentre era in carcere e diretta a una misteriosa amica, intercettata e pubblicata da Libération lo scorso gennaio, Salah ha scritto: "Non mi vergogno di ciò che sono, e poi cosa si potrebbe dire di peggiore rispetto a quello che si è già detto".

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.