Il centro secondo Blair
L’ex premier inglese rifiuta le etichette malevole dei suoi avversari (“centrist dad”) e lancia un manifesto centrista e pro globalizzazione, con idee radicali ma praticabili
[Pubblichiamo questo articolo per gentile concessione di BuzzFeed News. Qui la versione originale]
Tony Blair è stato chiamato in tanti modi durante la sua carriera politica e non tutti sono citabili qui. Ma vuole davvero che sia chiaro che non vuole essere definito “Centrist Dad”, un papà di centro. “Penso che si tratti di un termine inventato da persone che considerano il centrismo il posto dello status quo”, dice l’ex primo ministro britannico, seduto nel suo ufficio di Londra centro, molto consapevole dell’etichetta che alcuni sostenitori di Jeremy Corbyn hanno iniziato a far girare su Twitter riferendosi agli avversari interni al Partito laburista.
“Se il centrismo è un compromesso tra destra e sinistra, allora non sono un centrista, e non ho alcun interesse nel centrismo”, aggiunge Blair che ha appena finito di registrare un podcast con David Axelrod, ex consulente di Barack Obama. “Per me il centrismo è il posto dove proporre delle soluzioni radicali ma realistiche e non ideologiche, in quanto praticabili”.
"Se il centrismo è un compromesso tra destra e sinistra, allora non sono un centrista, e non sono interessato al tema", dice Blair
Blair ha invitato BuzzFeed News nel suo ufficio per il lancio di un nuovo paper in cui sono proposte delle idee su come il governo e i politici abbiano bisogno di migliorare il loro approccio alla tecnologia. Si tratta di una serie di pubblicazioni realizzate da una nuova organizzazione chiamata “Tony Blair Institute for Global Change”, il nuovo veicolo dell’ex leader del Labour per i suoi interessi nel campo della politica. Questa organizzazione – che ha come obiettivo il rinnovamento del centro politico così come lo intende Blair – agisce come una specie di isola felice per i consiglieri dell’era del New Labour e per tutti coloro che preferiscono che i loro candidati politici siano più come come Emmanuel Macron che come Bernie Sanders.
“Molti dimenticano che quando c’eravamo noi al potere, quando ero primo ministro, abbiamo vissuto dieci anni di crescita ininterrotta”, dice Blair con orgoglio. “C’è stata una riforma delle pensioni, è diminuita la povertà infantile, quando mi sono dimesso il sistema sanitario godeva del più alto indice di soddisfazione della sua storia, abbiamo fatto grandi riforme per la scuola, per i salari minimi, le unioni civili, tutto da un punto di vista centrista. Con il Tony Blair Institute for Global Change stiamo cercando di creare una piattaforma politica che dia risposte ai problemi che oggi il mondo deve affrontare, risposte radicali ma ragionevoli e realistiche”.
Tutto ciò si svolge in un edificio ristrutturato recentemente nel centro di Londra dove decine di persone lavorano in un open-space arredato come se fosse una start-up tecnologica, anche se i muri sono pieni di slogan motivazionali e di foto di Tony Blair con i leader mondiali. Vicino all’ascensore, in una teca, c’è il premio per il GQ Man del 2014. Sulle pareti sono stampati degli slogan di incoraggiamento accanto a citazioni di Nelson Mandela e a un’immagine del Blair che comparve in una puntata dei Simpson, firmata da Matt Groening. Il manifesto del Tony Blair Institute, molto simile allo slogan del Labour per le elezioni del 2017, è “far funzionare la globalizzazione per molti e non per pochi”.
Il "Tony Blair Institute for Global Change" è un rifugio per i moderati, per chi preferisce leader à la Macron e non à la Sanders
Questo è il punto di partenza della nuova fase della carriera di Blair. Finisce la profittevole attività di consulenza per associazioni controverse che ha fondato e che occasionalmente ha anche macchiato la sua carriera dopo la premiership. Iniziano le campagne a sostegno delle politiche centriste, proprio ora che il centrismo non è mai apparso tanto poco di moda.
Il paper tecnologico che Blair sta lanciando, scritto dal consigliere politico Chris Yiu con una sua prefazione, definisce le sfide che i governi moderni devono affrontare: l’automazione e le auto che si guidano da sole che tolgono lavoro alle persone, un mondo mediatico sottosopra dominato da Facebook e dall’inefficienza dei governi. Le sue raccomandazioni includono un processo di educazione permanente per coloro che sono stati messi fuori lavoro dal progresso tecnologico, un nuovo ministero per le Questioni digitali e una responsabilizzazione pubblica per i social media.
Alla fine Blair, in realtà, sta cercando di ritagliarsi un angolo in un mondo politico che sta cambiando in fretta, continuando a essere l’alfiere della globalizzazione. Per esempio, è preoccupato dal potere delle grandi compagnie tecnologiche, ma pensa comunque che valga la pena difendere il diritto di Uber a innovare, e dei suoi autisti di lavorare con flessibilità.
“Ci sono molte persone che fanno gli autisti per Uber e vogliono fare quello”, insiste in un momento in cui stroncare l’app, che ha appena perso una battaglia legale sui diritti dei lavoratori, è uno dei passatempi preferiti di molti politici, “la domanda è, come facciamo a essere sicuri che siano trattati come si deve? La risposta non è vietando Uber. La risposta è regolando Uber in modo sensato. Questo accade con tutte le compagnie che stanno cambiando la società in modo radicale: dobbiamo chiederci come si fa a mantenere i vantaggi che la gente vuole – nel caso di Uber ci sono persone che ritengono che sia un lavoro importante e che consente loro flessibilità – essendo al contempo sicuri che non sfrutti il personale?”.
Al contrario, Blair prevede una specie di promessa pubblica che garantisca che le compagnie tech lavorino nell’interesse collettivo senza interrompere i loro servizi. “Il punto di partenza è che le persone usano Google, Facebook e Uber perché lo vogliono. Sono più potenti di alcuni governi e, inevitabilmente, bisognerà iniziare a porre l’attenzione su come operano rispetto agli obblighi di interesse pubblico, dal momento che il loro potere è tanto enorme”
"Non credo ci sia voglia di un nuovo partito", dice Blair lanciando una piattaforma che superi i limiti della globalizzazione
Se Donald Trump promette un nazionalismo economico per proteggere i lavori tradizionali, Blair continua a credere nei benefici del libero mercato internazionale. “Credo che la globalizzazione sia una cosa positiva, ma dobbiamo mitigarne i lati negativi e i rischi”, insiste, “sono cresciuto a Durham, il mio collegio elettorale era formato soprattutto da minatori. Quando il mondo è cambiato e le miniere sono state chiuse non c’era modo di tornare indietro. E’ inutile far finta di competere con paesi che hanno schemi retributivi molto bassi. Bisogna concentrarsi su quello che si può fare davvero per aiutare… E’ meglio che dire a qualcuno che proteggerai il suo lavoro in questi tempi di globalizzazione quando in realtà non potrai farlo”.
Le politiche in concreto sono meno chiare. Quando Blair parla del reddito garantito non è convinto: “Sono scettico ma non del tutto riluttante. Non saremo mai in grado di dire alla gente che qualcuno lavorerà e qualcun altro no. Tu non vorresti rinunciare al tuo lavoro, io non vorrei rinunciarvi, la gente vuole dare un senso alla propria vita”.
Alla luce delle rivelazioni sulle potenziali interferenze russe nelle elezioni americane, Blair dice di essere preoccupato per la capacità di potenze straniere di usare la guerriglia cyber per intervenire negli affari interni: “A un certo punto, dovremo pensare a una specie di accordo internazionale per far capire ai governi che, se usano questi strumenti per influenzare la politica di un altro paese, superano una linea rossa. Questo è al centro delle discussioni di tutti i leader ora”.
La presenza di Blair sui social media è limitata e non controlla quello che la gente dice di lui su Twitter. “Evito di controllare per la mia pressione sanguigna. A volte lo faccio ma non in maniera ossessiva. L’unica cosa che bisogna capire sui social ha a che fare con ciò che non è stato ancora interamente compreso. Se nascondi la testa oggi, avrai un sacco di problemi in futuro”. Invece controlla e riceve notizie sul suo iPhone, a un certo punto guarda la schermata della sua home di Apple News. Insiste nel dire che non ha una conoscenza diretta delle storie di molestie sessuali a Westminster che hanno dominato i titoli delle ultime settimane (“riconosco alcune delle descrizioni, diciamo, ma sono cose in cui sono stato coinvolto”), ma dice che ci sarà “un cambiamento necessario della cultura che arriverà a breve” come risultato di queste storie.
Alcuni mesi fa si è parlato di un coinvolgimento di Blair in un nuovo partito centrista, ma poi dopo la performance sorprendente di Jeremy Corbyn alle elezioni non se ne è fatto più niente. Alcuni dei suoi critici hanno ammorbidito i toni – Gordon Brown ha passato la mattina di venerdì a elogiare Corbyn per il fatto di avere offerto delle soluzione là dove avevano fallito alcuni governi centristi – ma Blair rimane convinto del fatto che il manifesto di Corbyn non sia la strada giusta: “Credo che il problema con le sue politiche sia che non sono progressiste. Ad esempio, sostengono che la grande scommessa nel campo dei trasporti sia di nazionalizzare le ferrovie. Non è così. O che nel campo dell’istruzione sia necessario abolire le rette. Non è così. Puoi abolire le rette scolastiche ma questo vuol dire che dovrai alzare le tasse alla metà della popolazione che non va all’università e che in generale riceve salari inferiori. Non credo che ci sia il desiderio di avere un nuovo partito. Piuttosto credo che né i Tory che vogliono la hard Brexit, né il Labour della sinistra radicale rispondano alle esigenze di molti elettori. Vorrei costruire una piattaforma politica che sia comprensibile, così si potranno trattare tutti gli aspetti delle varie politiche e mostrare alle persone che c’è una strada per il futuro in cui ci si occupa delle loro ansie sulla globalizzazione, ma non si finisce con il condannare la globalizzazione o con il fermarla, sarebbe a) futile e b) non è quello che la gente vuole davvero”.
Blair è preoccupato anche per la crescente attenzione della sinistra sulle politiche identitarie, un cambiamento guidato dai social: “Le questioni legate alle politiche identitarie sono importanti ma vorrei che la politica progressista avesse sempre una visione unificante sulla giustizia sociale, sull’economia, e altro. Il pericolo con le politiche identitarie è che non credo sia una formula che consenta di vincere le elezioni. Se lo fai in modo ossessivo, alienerai molte persone, il cui sostegno è necessario per fare dei cambiamenti sociali”.
Il problema delle politiche di Corbyn "è che non sono progressiste. Pensa di risolvere i guai dei trasporti razionalizzando"
Blair, invece, teme una visione diversa per la Gran Bretagna che implica che Londra lasci l’Unione europea (“una decisione epocale che farà fare dei passi indietro a questo paese e lo renderà marginale”) e l’arrivo di un governo di Corbyn: “La possibilità che il Labour vinca è realistica, ma se dopo la Brexit seguiranno delle politiche economiche di sinistra radicale, saremo in difficoltà”. Sembra in parte consapevole della risposta che le sue affermazioni hanno sulla gente. Che cosa direbbe a un elettore di sinistra del Labour di una ventina d’anni che lo associa all’Iraq, alla crisi edilizia, e ritiene che lui sia l’incarnazione del diavolo? “Probabilmente non li convincerò se la pensano così, dovrebbero guardare al passato, a tutti cambiamenti che abbiamo apportato e che sono stati positivi e buoni per tutto il paese. Se tornassi al potere oggi, non sarei nella stessa posizione del 2007, per non parlare del 1997. Per quanto riguarda la crisi sulle case abbiamo bisogno di soluzioni radicali, ma è da dieci anni che non sono più al governo”. Poi c’è la guerra in Iraq, un argomento che lo perseguiterà e lui lo sa: “E’ perfettamente ragionevole che le persone me lo chiedano, ma dovrebbero ascoltare anche altri punti di vista. Con il tempo il modo in cui la gente guarda al medio oriente di stabilizzerà. La storia giudicherà. Le persone dovrebbero guardare al programma che stiamo proponendo senza pregiudizi”.
Trova ancora sconcertante che Corbyn, uno dei parlamentari più sconosciuti del Labour quando lei era primo ministro, ora sia leader del partito? “Sì”, dice riflettendo sul cambiamento del mondo politico, “ma lo trovo anche del tutto comprensibile”.
(traduzione di Micòl Flammini)
*Jim Waterson è Politics Editor di BuzzFeed News, con base a Londra.