Jesús Medina (a sinistra) dopo la sua liberazione (foto LaPresse)

Parla il giornalista anti-Maduro sequestrato in Venezuela

Maurizio Stefanini

Minacciato di morte e poi liberato. Jesús Medina ricostruisce al Foglio la dinamica del suo rapimento e dice di temere ancora per la sua incolumità: “Devo nascondermi come un criminale"

“Per favore, scrivi che ho bisogno di protezione internazionale urgente. Per me e per mia moglie!”. Non è un’intervista dai toni normali quella che stiamo facendo al giornalista venezuelano Jesús Medina. Primo, perché in questo momento si nasconde in un posto segreto. Secondo: perché giusto una settimana fa era rimasto desaparecido per 40 ore. Quando già si temeva il peggio era infine ricomparso seminudo, denunciando di avere ricevuto torture e minacce di morte. Le autorità venezuelane avevano annunciato la formazione di una commissione speciale del Cicpc, la Csi locale, per indagare sul suo caso. Al Foglio Medina assicura però che erano stati proprio i governativi a sequestrarlo. “¡El gobierno me tenia!”. Era il governo? “Se fossero stati mafiosi normali mi avrebbero assassinato. Spero sappiate interpretare”.

  

  

Accusa pesante, ma abbastanza in linea con quel che si sa del Venezuela di Maduro. Un regime di cui il segretario dell’Organizzazione degli Stati americani, Luis Almagro, ha appena denunciato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu: quello venezuelano è un governo che “assassina, tortura, incarcera, inabilita o depone autorità elette dal popolo”, ha attaccato Almagro. Anche il caso del giornale per cui Medina fa il reporter testimonia quanto il caso venezuelano sia particolare. “Dolar Today è un portale web che riflette il mercato finanziario del Venezuela e inoltre è un sito di notizie”, spiega. In un paese per cui l'agenzia di rating Standard&Poor's ha appena confermato la valutazione di “default selettivo”, dopo che la riunione convocata da Maduro con i creditori si è conclusa in 30 minuti con un nulla di fatto, e con un’inflazione che supera il 700 per cento, la quotazione sul dollaro in nero che Dolar Today fornisce è uno strumento di sopravvivenza indispensabile. Per questo tutti lo consultano e vedono anche le altre notizie e le inchieste che pubblica.

 

Medina, in particolare, si era occupato ultimamente di Tocorón, un carcere dove le mafie – con la complicità delle autorità – fanno il bello e il cattivo tempo, al punto che all'interno sarebbe stata aperta addirittura una discoteca. Proprio mentre cercava di farci un reportage all’inizio di ottobre fu arrestato assieme al giornalista italiano Roberto Di Matteo e al ticinese Filippo Rossi, e i tre rimasero dentro per alcuni giorni. “Non fu una detenzione, fu un sequestro”, ci racconta. “Avevano chiesto al direttore se ci poteva fare qualche dichiarazione e se potevamo registrare. Ci ha detto di sì, ci ha ricevuto nel suo ufficio e lì ci ha fatto arrestare”.

 

Quasi comico, ma sinistro, è invece il racconto che Medina ci fa del suo sequestro. “Stavo su un autobus. Tre veicoli lo hanno intercettato e hanno ordinato che tutti i maschi scendessero. Io subito ho mandato un messaggio a una collega dicendo che mi avevano preso. Quando scendo un uomo armato mi chiede: ‘Sei Jesús Medina?’. Io rispondo di sì. Mi hanno fatto salire sull’auto dove stavano, io gli ho chiesto se mi stavano arrestando e se avevano un ordine di arresto. Uno di loro mi ha risposto: ‘Stai zitto!’. Io gli dico: mi state sequestrando! Mi hanno incappucciato, mi hanno picchiato e mi hanno portato in una stanza oscura dove mi hanno picchiato di nuovo. Dopo un po’ mi hanno tolto da lì e portato in un posto dove c’erano degli alberi e una cascatella. Mi hanno fatto sdraiare a terra nudo, mi hanno messo un fucile sulla testa. Io gli ho detto: ‘Se mi dovete uccidere datemi un colpo in testa così non soffro!”. Poi mi hanno puntato una pistola e mi hanno detto: ‘Dagli, ragazzo dagli”. Se ne sono andati. Io ho gridato: ‘Non dovevate uccidermi?’. Ho cercato di correre in avanti ma non ci sono riuscito. Ho visto una luce e ho camminato fino lì. Sono caduto sull’autostrada Caracas - La Guiará e lì alcune persone in moto mi hanno soccorso, portandomi dove stava la Guardia nazionale bolivariana”.

 

Medina spiega che non può dire di più. “La mia situazione ora è di pericolo, devo nascondermi come un criminale. Minacciano di uccidere la mia famiglia e mia moglie, devo cambiare abitazione ogni giorno perché mi avevano ammonito di non parlare in pubblico e io l’ho fatto. Corro il pericolo perché so molte cose che alcune persone con molto potere in Venezuela non vogliono che vengano alla luce”.

 

Una storia estrema? “Essere giornalista in Venezuela oggi è molto difficile. La maggior parte dei lavoratori della stampa subisce aggressioni verbali e fisiche, a parte la censura. Altri si auto-censurano per paura che gli succeda lo stesso che è successo a me. Molti giornalisti sono già fuggiti dal paese per paura. Viviamo in una dittatura camuffata e per questo abbiamo lanciato un allarme mediatico internazionale”.

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