Theresa May denuncia la campagna di destabilizzazione dei russi
“Sappiamo quello che state facendo”, dice la premier rivolgendosi a Mosca
Milano. “Ho un messaggio molto semplice per la Russia” e i suoi leader, ha detto due sere fa il premier britannico, Theresa May: “Sappiamo quello che state facendo, e non avrete successo. Perché sottostimate la forza delle nostre democrazie, l’attrazione perpetua che esercitano le società aperte e libere, e l’impegno delle nazioni occidentali nel sistema di alleanze che ci unisce”. La May ha spiegato che i legami del Regno Unito con l’Europa e il resto del mondo in termini di sicurezza e collaborazione non si spezzeranno, e che si lotterà insieme contro le minacce, “la prima oggi, ovviamente, è la Russia”, che ha annesso la Crimea, ha “ripetutamente” violato gli spazi aerei di paesi europei, ha iniziato una “campagna di spionaggio cyber e disruption” che rischia di creare conflitti “imprevedibili e pericolosi” con l’Europa.
La credibilità del premier britannico è, come si sa, molto bassa: la gestione goffa (eufemismo) del negoziato sulla Brexit ha infragilito lei e il paese che guida. Ma le sue parole nei confronti della Russia, così chiare e precise – “sappiamo quel che state facendo”, è inutile che ci riempite di propaganda e contropropaganda – risuonano forte in un contesto in cui: il suo ministro degli Esteri, Boris Johnson, due settimane fa, ha detto di “non aver visto nulla, not a sausage, nyet” che dimostri l’ingerenza russa nei processi democratici inglesi, cioè nel referendum sulla Brexit e nelle elezioni; qualche giorno fa, il presidente americano Donald Trump ha dichiarato: ogni volta che Vladimir Putin “mi vede, dice: ‘Non ho fatto nulla’. E io credo, davvero credo, che quando me lo dice, lo dice sul serio”. La May invece denuncia la guerra di propaganda gestita dai russi, e anche Facebook ha infine dichiarato a BuzzFeed News che qualche ingerenza, nel referendum Brexit, c’è stata.
Sfumature, ben inteso: prima Facebook sosteneva che non ci fosse stata ingerenza e ora dice che non è stato verificato “un coordinamento significativo” di propaganda durante la campagna per la Brexit. Il capo della commissione Media digitali e Cultura della Camera dei Comuni, Damien Collins, che sta conducendo un’inchiesta sull’impatto delle fake news sui processi elettorali inglesi, ha scritto a Twitter, Facebook e Google chiedendo loro i dettagli sugli account russi e sulle pubblicità russe durante il referendum del 2016 e le elezioni dello scorso giugno – sulla falsa riga di quel che ha fatto il Congresso americano. La missiva di Collins non è passata inosservata: l’account Twitter dell’ambasciata russa nel Regno Unito, da sempre molto attivo e ironico (pure se spesso c’è poco da scherzare), ha pubblicato il titolo di un articolo in cui si parlava dell’iniziativa di Collins commentando: “Non sia timido, Mr Collins! Quando si mente, che sia una bugia grande e che venga difesa fino all’ultimo (Goebbles)”. I colossi tech saranno comunque ascoltati anche dalla Commissione elettorale che sta indagando sull’ingerenza russa, mentre l’Oxford Internet Institute ha detto – scrive il Times – che almeno 54 account Twitter nella lista dei 2.752 account legati alla Internet Research Agency hanno tuittato sulla Brexit (a favore): questa agenzia, secondo quanto rivelato da Twitter stesso nei documenti presentati al Congresso americano, è una “troll factory” con sede a San Pietroburgo.
Sfumature, ben inteso: prima Facebook sosteneva che non ci fosse stata ingerenza e ora dice che non è stato verificato “un coordinamento significativo” di propaganda durante la campagna per la Brexit. Il capo della commissione Media digitali e Cultura della Camera dei Comuni, Damian Collins, che sta conducendo un’inchiesta sull’impatto delle fake news sui processi elettorali inglesi, ha scritto a Twitter, Facebook e Google chiedendo loro i dettagli sugli account russi e sulle pubblicità russe durante il referendum del 2016 e le elezioni dello scorso giugno – sulla falsariga di quel che ha fatto il Congresso americano. La missiva di Collins non è passata inosservata: l’account Twitter dell’ambasciata russa nel Regno Unito, da sempre molto attivo e ironico (pure se spesso c’è poco da scherzare), ha pubblicato il titolo di un articolo in cui si parlava dell’iniziativa di Collins commentando: “Non sia timido, Mr Collins! Quando si mente, che sia una bugia grande e che venga difesa fino all’ultimo (Goebbles)”. Il ministero degli Esteri russo martedì ha rilanciato pubblicando una foto non lusinghiera della May che beve vino scrivendo: “Anche noi sappiamo quello che stai facendo!”. I colossi tech saranno comunque ascoltati anche dalla commissione elettorale che sta indagando sull’ingerenza russa, mentre l’Oxford Internet Institute ha detto – scrive il Times – che almeno 54 account Twitter nella lista dei 2.752 account legati alla Internet Research Agency hanno tuittato sulla Brexit (a favore): questa agenzia, secondo quanto rivelato da Twitter stesso nei documenti presentati al Congresso americano, è una “troll factory” con sede a San Pietroburgo. E’ anche emerso che un account Twitter identificato come un bot russo ha postato l’immagine di una donna musulmana con il velo mentre attraversa il Westminster Bridge e ignora una vittima dell’attacco terroristico del 22 marzo scorso: era falsa, ma divenne virale. Qualche giorno fa, l’edizione inglese della rivista Wired ha raccontato “la prima prova” di come la Russia ha utilizzato Twitter per influenzare l’esito del referendum sulla Brexit. La prova è contenuta nei documenti presentati da Twitter: 139 tweet di 29 account mostrano come dei troll russi hanno utilizzato hashtag legati alla Brexit e alla retorica anti islamica e anti immigrazione: questi account erano seguiti da 268.643 persone e alcuni post sono stati rituittati centinaia di volte (ora tutti questi account sono stati sospesi).
La commissione dei Comuni ha appena iniziato i suoi lavori, ma è interessante che la May sia stata subito chiara nel definire le responsabilità: “Sappiamo quello che state facendo”. E le conseguenze non riguardano un candidato o un movimento: qui si parla di Brexit, un divorzio costosissimo che sta cambiando il ruolo del Regno Unito nel mondo.