La larga coalizione dei centristi francesi
Nella Francia di Macron i moderati pensano a una superlista per le europee
Roma. “Un giorno forse sarà il caso di tagliare le due estremità della frittata affinché le persone ragionevoli governino insieme e lascino da parte i due estremi, di destra e di sinistra, che non hanno capito niente del mondo”. Emmanuel Macron? No, Alain Juppé, gennaio 2015, intervistato dal Point. L’ex candidato alle primarie del centrodestra, sconfitto, è tornato a fare il sindaco di Bordeaux. Ma il juppeismo, il progetto di un governo capace di unire forze politiche diverse su idee riformiste, ha trionfato. Le prime riforme di Macron, il rapporto con l’Europa, la politica fiscale e la loi travail sono molto vicine al pensiero politico di Alain Juppé. E la continuità non è soltanto ideologica. A mettere in pratica il macronismo, dall’Hôtel de Matignon, come primo ministro, è Édouard Philippe, ex segretario generale dei post gollisti dell’Ump, ex braccio destro e portavoce di Alain Juppé. Philippe dirige un governo di compromesso dove convivono personalità diverse, con percorsi spesso opposti. La destra guida i ministeri con responsabilità economiche, la sinistra l’Interno e gli Esteri, i tecnici i dossier più a rischio dal punto di vista ideologico, come il Lavoro o l’Istruzione.
Le somiglianze tra i progetti dei due uomini sono tali da dare vita a numerose speculazioni su una possibile grande lista centrista composta da En Marche! e dalla galassia vicina ad Alain Juppé da presentare alle elezioni europee del 2019: “Sarebbe un avvenimento molto felice, è il sogno della mia vita”, ha commentato François Bayrou, leader del movimento centrista MoDem, alleato di Macron e pedina fondamentale nella conquista dell’Eliseo. Il progetto è stato subito smentito da Juppé, ma dopotutto, ragionano i giornali francesi in queste settimane, non c’è bisogno di rendere esplicita un’alleanza che, di fatto, già esiste e funziona.
Un discorso, quello della ricomposizione e collaborazione tra “politici di buon senso”, non confinato soltanto alla destra gollista moderata. Manuel Valls, socialista, ministro dell’Interno e primo ministro durante il quinquennat di François Hollande, ha costruito parte della sua carriera politica chiedendo di collaborare con alcuni avversari e spingendo, da sinistra, per riforme più liberali. Ora che Macron ha conquistato il potere dopo la campagna elettorale più liberale mai fatta nella Quinta repubblica, Valls non si fa più notare per le sue idee “eretiche” in materia economica e sociale, come quand’era socialista. Quello che era un tratto distintivo oggi è mainstream. L’ex primo ministro sta vivendo un momento di grande notorietà grazie alle sue posizioni intransigenti nei confronti dell’islam radicale, uno dei temi sui quali il presidente è più silenzioso.
Macron ha sempre rifiutato l’etichetta centrista, anche se il suo intercalare, “en même temps”, allo stesso tempo, costituisce il riassunto più efficace del suo agire politico. E c’è chi, come Jean-Michel Bezat sul Monde, nota che forse è ancora presto per inserire il giovane presidente in una “casella” predefinita: “E’ liberale, ma senza eccessi, persino giacobino se ne ha bisogno; adotta il rigore nei conti, ma senza ortodossia; è più sedotto dalla flexisecurity che dalla deregolamentatione anglosassone; economista di formazione, ma convinto dagli insegnamenti del filosofo Paul Ricœur che l’uomo non è riducibile all’Homo œconomicus”. Eppure la descrizione sembra quella del perfetto centrista.
l'editoriale dell'elefantino
C'è speranza in America se anche i conservatori vanno contro Trump
tra debito e crescita