Macron sbroglia il caso Hariri sotto il naso dei sauditi e lo porta a Parigi
L'ex premier libanese ha accettato l'invito dell'Eliseo, sabato atterrerà in Francia e poi, forse, tornerà a Beirut. “In Libano siamo influenti”
Roma. Se sabato, come sembra, Saad Hariri volerà a Parigi, è merito dell’Eliseo che nelle ultime settimane ha lavorato per risolvere un complicato stallo diplomatico. L’ex primo ministro libanese è al centro di un intrigo internazionale: il quattro novembre, da Riad, in Arabia Saudita, ha annunciato le sue dimissioni senza avvertire nessuno e senza dare motivazioni valide oltre alle dichiarazioni di facciata. Da Riad ha più volte ripetuto di essere libero dei suoi movimenti, eppure, a causa della situazione poco chiara e dell’atteggiamento poco conciliante dei sauditi (che, secondo Reuters, gli avrebbero sequestrato il telefono, l’Apple Watch e impedito di lasciare il suo appartamento), è apparso più come un prigioniero che come un ospite.
Mercoledì Macron, dopo un colloquio telefonico con Mohammed bin Salman, erede al trono saudita, e lo stesso Hariri, lo ha invitato a Parigi insieme con la sua famiglia. Il presidente francese è dunque riuscito a convincere i sauditi, Hariri andrà in Francia prima di rientrare a Beirut dove, pare, rassegnerà le dimissioni al capo dello stato come previsto dalla Costituzione. Tutto comincia giovedì scorso: Macron era in visita ufficiale negli Emirati arabi ma, preoccupato dall’aggravarsi della crisi tra Arabia Saudita, Libano e Iran, altra potenza regionale protagonista nel paese tramite il suo braccio armato, Hezbollah, aveva deciso di fare tappa a Riad per incontrare Bin Salman e discutere della crisi nella regione. Lo scalo, organizzato in tutta fretta il giorno stesso, ha dato i suoi frutti, anche se le tensioni tra Riad e Teheran, delle quali il Libano è cassa di risonanza, sono tutt’altro che risolte.
Georges Malbrunot, giornalista del Figaro inviato speciale a Riad in queste settimane, spiega al Foglio che si tratta senza dubbio di un successo, anche se temporaneo: “Macron riesce in un solo colpo a sbrogliare una situazione molto complicata e porsi come mediatore in un paese fondamentale come il Libano. Tuttavia Hariri a Parigi non risolve la situazione a Beirut: Hezbollah ha un peso sempre maggiore e segue una strategia precisa, quella di Teheran, mentre i sunniti, che l’Arabia Saudita vorrebbe rappresentare, sono divisi e deboli. Bisognerà trovare un nuovo compromesso”. E Hariri ne esce molto indebolito: aveva detto che sarebbe tornato entro ieri, e invece andrà in Francia.
“L’azione di Macron è quasi rocambolesca – ci dice Stéphane Malsagne, storico alla Sorbonne e specialista del Libano – ma da una prospettiva storica è coerente: la nostra diplomazia ha sempre avuto un atteggiamento ‘protettore’ nei confronti del Libano. Non ha i mezzi per influenzare direttamente la politica del paese, come fanno Riad e Teheran, ma se c’è da porsi come garante non si tira indietro”. Dopotutto gli interessi francesi in Libano sono giganteschi. Per Parigi Beirut è un osservatorio strategico fondamentale per monitorare quanto accade in Siria, teatro dove i francesi sono in prima linea nei bombardamenti contro lo Stato islamico: una destabilizzazione del Libano è da evitare in tutti i modi. “Dal punto di vista economico i due paesi sono molto vicini. La Francia ha governato il Libano per più di vent’anni fino al secondo dopoguerra, i rapporti sono sempre stati ottimi soprattutto dal punto di vista culturale – continua Malsagne – esistono partenariati centenari tra le università, il paese è in gran parte francofono, i nostri istituti di cultura sono tra i più attivi del medio oriente. A Beirut la Francia è influente”.
Il comportamento di Macron, che ha gestito in prima persona il dossier, segnala anche un cambiamento rispetto ai rapporti con l’Arabia Saudita, sostiene Malbrunot: “Negli ultimi anni i sauditi ci hanno promesso investimenti miliardari, ma non hanno mantenuto gli impegni. E se Hollande cercava di evitare di innervosire Riad, il nuovo presidente ha deciso di relazionarsi in modo meno accondiscendente. Non credo ci saranno più grandi accordi militari: tutti i nostri contatti nel settore sono stati colpiti dalle purghe di Bin Salman. Credo che la politica dei contratti sia finita”. Il giornalista del Figaro racconta anche di una certa chimica tra i due giovani leader: “Sono della stessa generazione, vogliono entrambi riformare i propri paesi. Si capiscono. L’incontro della settimana scorsa è andato molto bene e dialogano in continuazione per sms. Un buon rapporto personale conta molto nelle relazioni internazionali”.
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