La sinistra in lotta per la superiorità morale condanna l'orco Al Franken
Ma nel regno delle iperboli vince lo sfacciato Trump. Il presidente sa che in questa resa dei conti dove tutti devono esagerare, testare la purezza, le vittime sono intoccabili. Così sfida il buon senso e il principio di non contraddizione
L’insaziabile circo delle molestie, delle accuse e delle epurazioni impone a tutti gli attori coinvolti di strafare. E’ un regno delle iperboli in cui capita facilmente di perdere il senso delle proporzioni. Il caso di Al Franken è esemplare. Leeann Tweeden, giornalista ed ex modella, ha detto di essere stata molestata dal senatore democratico nel 2006, durante un viaggio in Iraq per intrattenere le truppe americane al fronte. In tutti gli studi televisivi d’America Tweeden ha raccontato l’accaduto: Franken l’ha baciata con la lingua nelle prove di uno sketch che lui aveva appositamente orchestrato, e poi si è fatto fotografare nell’atto di palpeggiarle il seno mentre dormiva durante uno degli spostamenti aerei.
C’è un dibattito intorno al fatto che Franken davvero tocchi la ragazza oppure faccia soltanto il gesto, ma quando c’è la prova fotografica la questione non è più opinabile agli occhi del pubblico, come aveva abbondantemente spiegato Susan Sontag. Il primo a strafare è stato lo stesso Franken, con le scuse. Nel primo comunicato ha detto che “ricordava in modo diverso la scena del bacio” mentre la foto “voleva essere divertente ma non lo era”, e fatte queste distinzioni ha chiesto scusa. Non era sufficiente, ovviamente, e ha dovuto supplire con una nota più sentita e articolata in cui si flagella per il peccato fatale. Si è consegnato alla commissione etica del Senato, che deciderà un destino politico che, considerato il clima, si scrive da sé. A finire nel ciclo delle iperboli sono stati anche gli avversari di Franken, a partire da Donald Trump. Senza percepire il minimo disagio per la decina abbondante di donne che lo accusano di molestie e per aver finora taciuto attorno a Roy Moore, candidato al Senato in Alabama finito nella bufera per vecchie relazioni con ragazze minorenni, ha twittato: “La foto di Al Frankenstein è davvero brutta, parla quanto mille parole. Dove saranno le sue mani nella foto numero 2, 3, 4, 5 & 6 mentre lei dorme?”.
Trump sente di potersi permettere questo oltraggioso salto dello squalo perché sa che anche sull’altro lato dell’emiciclo devono strafare. L’etichetta in vigore da sei settimane a questa parte non permette di mettere in dubbio nemmeno una virgola del racconto di una vittima e costringe tutte le sfumature della molestia sessuale nella stessa categoria, senza particolari distinzioni di gravità e contesto. Con un articolo accorato, Michelle Goldberg ha spiegato sul New York Times che Franken va condannato senza appello anche se è sinceramente di sinistra, anche se ha sponsorizzato le legislazioni più radicali contro la discriminazione di genere. Il clan Obama ha fatto pervenire la sua sentenza attraverso un tweet di Valerie Jarrett: “Immaginate vostra madre, moglie, sorella o figlia in questa fotografia. Non è così divertente adesso, vero?”.
Trump ha imparato la lezione di Weinstein, sa che in questa resa dei conti dove tutti devono esagerare, alzare l’asticella, testare la purezza, le vittime sono intoccabili, e con la solita chutzpah ha sfidato il buonsenso e il principio di non contraddizione. A parte una petizione di una serie di donne che hanno lavorato con Franken e non lo riconoscono in quella foto, il calcolo del presidente è corretto: mettere in dubbio la versione di Tweeden è un’inaccettabile eresia per i liberal. Non c’è situazione migliore per Trump di quella in cui la sinistra gareggia per stabilire chi è più puro moralmente e finisce per autocensurarsi. Sono stati subito isolati, infatti, quelli che fanno notare che l’ex playmate al centro del caso era, secondo alcune foto del profilo Facebook, una sostenitrice di Trump e che Roger Stone, lanciatore di fango di scuola nixoniana, qualche ora prima che la faccenda scoppiasse ha scritto che Al Franken sarebbe presto caduto in disgrazia.