Nell'abbraccio tra Putin e Assad la fine della Prima guerra siriana
La situazione nel paese resta instabile. Domani il presidente russo riceverà a Sochi Erdogan e Rohani per decidere che forma dare al futuro della Siria. L'America di Trump relegata al ruolo di spettatore
La foto fatta circolare dal Cremlino dell’abbraccio tra il presidente russo, Vladimir Putin, e il presidente siriano, Bashar el Assad, sancisce la fine della guerra siriana. E’ stata scattata ieri pomeriggio a Sochi, in Russia, dove domani Putin riceverà il presidente turco, Recep Tayyep Erdogan, e quello iraniano, Hassan Rohani, per decidere assieme che forma dare al futuro della Siria (i ministri degli Esteri dei tre paesi si sono appena visti nel sud della Turchia per discutere i dettagli). E’ vero che nel paese esistono ancora molte sacche di resistenza contro il potere centrale di Damasco, ma è anche vero che nessuna di queste enclavi rappresenta davvero una minaccia esistenziale per Assad, come invece era negli anni scorsi. Il Cremlino ha fatto sapere che oggi Putin telefonerà al presidente americano Donald Trump e al re saudita per informarli dell’incontro con Assad. Ma l’America è stata deliberatamente tenuta fuori da questo quadro. In questi anni di conflitto civile, prima sotto il mandato di Barack Obama e poi con Trump, ha tenuto al minimo il suo impegno politico sulla questione e ora è relegata tra gli spettatori. L’impegno militare americano invece è stato tutt’altro che marginale, anzi, senza le migliaia di raid aerei americani che nel corso di tre anni hanno distrutto, pezzo dopo pezzo, l’intera struttura dello Stato islamico, oggi non si sarebbe alle battute finali della campagna contro il gruppo terrorista.
Assad ha un doppio motivo per abbracciare Putin. La forza aerea dei russi arrivata in Siria a fine agosto nel 2015 ha di fatto spostato l’equilibrio della guerra a favore di Assad e lo ha salvato, cosa che nemmeno gli iraniani erano riusciti a fare in tre anni di interventi militari più o meno espliciti. Inoltre la Russia pone automaticamente il veto alle Nazioni Unite contro ogni tentativo di accusare Assad per crimini di guerra. Venerdì scorso il veto russo ha causato lo scioglimento della commissione d’inchiesta che indaga sui massacri con armi chimiche e che aveva provato la responsabilità di Assad. A questo punto si conosce il colpevole, ma non ci saranno conseguenze.
Nel nord ovest della Siria la zona di Idlib è sotto il controllo di quel che resta dei gruppi dell’opposizione armata, dominati però dalla fazione islamista più pericolosa (conosciuta con la sigla HTS, è ostile allo Stato islamico ed è legata ad al Qaida). Nel nord est ci sono i curdi, che quando Assad governava per intero il paese erano trattati male – a molti era negato il passaporto, e non era permesso insegnare ufficialmente la lingua curda – e che ora vorrebbero un qualche grado di autonomia da Damasco, anche perché sono tra i maggiori artefici della vittoria contro lo Stato islamico. Sono curdi legati al Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan che è acerrimo nemico della Turchia e questo spiega la facilità degli accordi fra fronte assadista e governo turco. Vicino alla capitale c’è una robusta enclave ancora fuori dal controllo del governo, che subisce ogni giorno bombardamenti spietati, e infine a sud ci sono altri gruppi armati variamente assortiti – si va dai nazionalisti moderati fino a una fazione filo Stato islamico. Nessuna di queste zone ha la forza di prevalere contro Assad, difeso da un doppio anello di milizie provviste dall’Iran e di potenza di fuoco fornita dalla Russia, e nei prossimi mesi (anni?) ci sarà una graduale campagna di riconquista ottenuta con la forza o grazie ad accordi di tregua. La guerra è terminata a Sochi, ma si combatterà ancora a lungo.
Per essere precisi, si dovrebbe parlare di “Prima guerra siriana”, perché la situazione è così instabile che potrebbe essercene presto una Seconda. Israele ha detto più volte e in termini molto chiari che non tollererà la presenza di forze militari iraniane in Siria – quindi nel paese confinante – e nel fine settimana ci sono stati due giorni di bombardamenti consecutivi con l’artiglieria da parte degli israeliani contro l’esercito siriano, oltre, ovviamente, gli almeno cento raid aerei lanciati a partire dal 2013 contro il gruppo Hezbollah e gli iraniani installati in Siria. Inoltre c’è il problema del Kurdistan siriano, il Rojava, che potrebbe non trovare un accordo con il governo di Assad. In questo momento l’esercito siriano non è ai livelli di quello iracheno, che ha soggiogato in pochi giorni i curdi iracheni. I curdi siriani potrebbero essere tentati di “negoziare con le armi” un accordo più favorevole con Damasco. Infine, è bene ricordare che tutte le previsioni sulla Siria sono smentite con regolarità. Soltanto due anni fa, la Turchia che oggi si siede al tavolo dei vincitori con iraniani e russi era in rapporti tesissimi con Mosca – al punto da abbattere un caccia russo che aveva violato il confine turco. Oggi quei tempi sembrano lontanissimi ma sono un buon esempio di come le condizioni sono variabili.