Alleanze contro il terrorismo
Strage in Sinai. La cena a Roma dei servizi di Egitto e Israele per la guerra all'Isis
Almeno 235 morti in un attentato jihadista. I dettagli di un vertice confidenziale tra emissari israeliani ed egiziani sulla sicurezza
Roma. Ieri uomini a bordo di quattro veicoli hanno attaccato con bombe e raffiche di mitra una moschea sufi, a ottanta chilometri a ovest di al Arish, la città più grande del Sinai, e hanno ucciso 235 persone. I sufi sono considerati un bersaglio dallo Stato islamico perché praticano una versione mistica dell’islam che li rende “eretici”, così come un bersaglio sono i cristiani che – secondo il Wilayat Sainà, come si fa chiamare il gruppo qui, in arabo vuol dire “provincia del Sinai” – a partire dall’anno scorso non possono più avere nemmeno lo status di sottomessi all’islam, come vorrebbe la visione del mondo degli islamisti, ma devono essere uccisi ovunque sia possibile perché “collaborazionisti del governo del tiranno al Sisi”. il presidente egiziano. Ma forse c’era un altro motivo per attaccare quella moschea: lo Stato islamico ha voluto punire con brutalità i Bani Sawarka, un clan beduino locale che assieme ad altri aveva cominciato a fare resistenza contro i terroristi.
In teoria gli egiziani non potrebbero operare nel Sinai con armi pesanti ed elicotteri da guerra, perché è una zona demilitarizzata dopo i conflitti arabo-israeliani, ma lo fanno grazie a un nuovo accordo con il governo di Gerusalemme. La settimana scorsa una delegazione del Mossad israeliano s’è incontrata in un ristorante vicino a Roma con una delegazione dei servizi segreti egiziani per un incontro al vertice – secondo quanto risulta al Foglio. O meglio, l’incontro non era proprio al vertice, perché non erano presenti i direttori, ma era appena sotto perché c’erano i loro vice. Delegazione asciutta per gli israeliani, quattro persone, e molto nutrita invece per gli egiziani, dodici, che alla fine hanno voluto pagare il conto. Questo tipo di incontri confidenziali in paesi terzi, e l’Italia è una destinazione scelta spesso, fanno parte di quella diplomazia sotterranea tra i paesi arabi e Israele che negli ultimi tempi sta facendo parlare di sé più del solito, soprattutto da quando l’Iran ha conquistato una posizione dominante in medio oriente e l’Arabia Saudita è diventata più attiva. Ma uomini d’intelligence egiziani e israeliani sono vecchie conoscenze e sono in contatto da molto prima dell’attuale fase convulsa e quella sera erano a cena assieme per fare il punto della situazione su altri fronti che hanno in comune, due in particolare. Uno è la Striscia di Gaza, dove il gruppo islamista Hamas sta progressivamente cedendo il controllo ai rivali politici di Fatah in virtù di un accordo di riconciliazione nazionale palestinese firmato il 12 ottobre che è molto delicato perché potrebbe rompersi da un momento all’altro per tanti motivi. L’altro fronte – che non è slegato da quello che succede a Gaza – è appunto la lotta contro lo Stato islamico nella penisola egiziana del Sinai, che confina sia con Israele sia con la Striscia. Gli egiziani hanno mandato l’esercito per sradicare il gruppo terrorista con una campagna militare molto dura, e a tratti è sembrato che funzionasse e fosse vittoriosa. Poi però arrivano rappresaglie terribili, come ieri. Il ruolo degli israeliani non si limita a questo permesso di effettuare massicce manovre militari contro i terroristi: ci sono casi di bombardamenti con i droni da parte di Israele contro lo Stato islamico nel Sinai, e sono certamente concordati con gli egiziani.