Muriel Pénicaud

Il ministro del Lavoro francese ci spiega la prima rivoluzione di Macron

Claudio Cerasa

La necessità di superare il mito del posto fisso. "Cosa serve per combattere la disoccupazione? Più competenza"

Parigi. “La nostra non è solo una riforma, è una rivoluzione culturale”. Parigi, Rue De Grenelle numero 127, Macronlandia. Il ministero del Lavoro francese, Muriel Pénicaud, riceve alcuni giornalisti italiani e distribuisce a tutti un opuscolo di cartone. Quattro pagine, dieci punti, dieci disegni. “Questa è la nostra rivoluzione, se volete ne possiamo parlare”. Al ministro Pénicaud passa cinquanta minuti a chiacchierare, a dialogare e a rispondere e a replicare alle domande, anche a quelle del Foglio, e prova a spiegare perché, per capire quello che sta succedendo in Francia con Macron, non si può non partire da quello che sta succedendo con la riforma del lavoro. Le parole chiave sono qua: protezione, competenza, Europa, i concetti della riforma sono quelli noti e sono più o meno questi. Rendere i grandi sindacati meno centrali nella contrattazione e scommettere sulla contrattazione di secondo livello. Rendere più semplici le assunzioni a tempo determinato. Snellire il tessuto burocratico delle aziende con meno di cinquanta dipendenti. Stabilire una tabella di compensazioni monetarie in caso di licenziamenti scorretti per rendere più facili anche le assunzioni. Quello che è stato fatto finora è noto, ma con il Foglio il ministro del Lavoro aggiunge qualcosa in più e offre qualche dettaglio. Il ministro fa notare che la Francia è uno dei paesi europei che hanno meno problemi sul terreno della produttività ma ammette che non può esistere una riforma del lavoro ben congegnata se questa non prevede anche la possibilità di far lavorare meglio, con più efficienza e con più retribuzioni i lavoratori. Dice che il prossimo passo sarà quello di riformare la formazione professionale e i sussidi per la disoccupazione – “Questi punti sono cruciali per il progetto di rivoluzione culturale che abbiamo in testa perché il compito di uno stato e di un governo che funziona è quello di scommettere sulle competenze”.

   

“Dai dati che abbiamo – prosegue Pénicaud – sappiamo che il numero di disoccupati con un basso livello di formazione oggi è pari a tre volte il numero dei disoccupati con un livello di formazione alta: 18,6 per cento contro 5,6 per cento”. E poi ci offre una notizia interessante quando lascia intendere che una volta concluso l’iter di approvazione della riforma sul lavoro il governo proverà a estendere la normativa anche al settore pubblico. Il ministro osserva gli interlocutori con lo sguardo di chi vuole rivendicare un successo francese, “un nuovo modello di rapporto tra stato, imprenditori e lavoratori” dicono a Rue de Grenelle, e prova a spiegare da dove nasce l’esigenza di una riforma “copernicana”. Il posto fisso a tutti i costi, sostiene il ministro, è un mito da superare: “Sempre più cittadini oggi sono consapevoli degli sviluppi della globalizzazione ma il modo migliore per governare questi processi non è fermarli ma è anticiparli e dominarli”. Nel corso della conversazione, il ministro Pénicaud, classe 1955, un bel tipo con un passato da collaboratrice per il ministro Martine Aubry (leader storica della sinistra del partito socialista), un’esperienza da direttore delle risorse umane alla Danone, ricorda spesso che non c’è passaggio della riforma che non è stato fatto senza aver consultato i sindacati. Pénicaud ammette di aver fatto in fretta ma ammette anche che nonostante il poco tempo il governo ha passato circa 300 ore a discutere con le parti sociali e che senza di loro forse il governo non sarebbe riuscito a fare i passi in avanti di cui aveva bisogno questa riforma. Il messaggio del ministro Pénicaud è sottile ma è chiaro. Per governare la globalizzazione e migliorare gli equilibri della democrazia bisogna avere idee forti e decise. Per poter imporre le idee forti è necessario fare di tutto per avere il minor numero dei nemici. Per avere il minor numero di nemici quando riformi il lavoro, specie in un paese come la Francia dove da decenni si prova a riformare il lavoro senza successo, la strada forse è soltanto una: non solo sfidare i corpi intermedi (sindacati e non solo) ma provare a riformarli con la stessa forza con cui si prova a cambiare un paese. Lezione forse utile anche per l’Italia.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.