Trump indebolisce l'America nel mondo a colpi di tweet corrosivi
Il presidente americano sostiene che la rete tv Cnn mente (facendo il gioco della disinformazione in Libia) e rilancia l'ultradestra inglese
Roma. Ieri mattina ora americana il presidente Donald Trump ha rilanciato tre tweet di Jayda Fransen, la vice leader di un gruppo ultranazionalista inglese che si fa chiamare Britain First (Prima la Gran Bretagna) e che è molto controverso per le posizioni politiche di estrema destra. I tweet contengono tre video brevi che mostrano musulmani compiere atti spregevoli. Il presidente americano è stato subito criticato, da diverse parti e in toni diversi, per avere regalato d’improvviso a un gruppuscolo militante che lottava per non sparire nell’irrilevanza la piattaforma mediatica più ambita del pianeta, i suoi tweet, che sono seguiti da quasi 44 milioni di persone e che sono ovviamente sempre tenuti d’occhio da tutti i media.
Anche il primo ministro inglese conservatore, Theresa May, ha detto che Trump “non avrebbe dovuto farlo” con un comunicato insolitamente duro che spiegava: “Britain First punta a dividere le comunità con l’uso di una narrativa odiosa che spaccia bugie e alimenta la tensione”. Piers Morgan, un commentatore inglese trapiantato in America, è sempre stato molto morbido con Trump ma questa volta lo ha attaccato perché ha condiviso la propaganda “di un gruppo di estremisti disgustosamente razzisti”.
Almeno uno dei tre video rilanciati via Twitter dal presidente è falso, perché presenta come “un profugo musulmano” un ragazzo che picchia in modo vigliacco un altro ragazzo con le stampelle ma in realtà è un adolescente olandese non musulmano che fu arrestato il giorno dopo il video, il 13 maggio di quest’anno. Un altro video mostra “un musulmano che spacca una statua della Vergine Maria”. L’uomo è stato identificato dal Foglio come Omar al Ghuraba, una figura di spicco dello Stato islamico vista per l’ultima volta a Mosul (nel 2014 al Ghuraba era il contatto con il mondo esterno durante i negoziati per liberare due giornalisti giapponesi rapiti in Siria e poi trucidati dal gruppo terrorista). Secondo l’ex direttore dell’intelligence nazionale americana, James Clapper, storico antipatizzante di Trump, questi tweet potrebbero causare ogni tipo di effetto a catena.
The man in the "Muslim Destroys a Statue of Virgin Mary!" video retweeted by Donald Trump is Omar al Ghuraba, a well-known leader of the Islamic State. On the right he is together with Islamic State preacher Turki al Binali pic.twitter.com/vgkmrw7iNe
— Daniele Raineri (@DanieleRaineri) 29 novembre 2017
Un esempio molto significativo di questi potenziali effetti a catena è arrivato dopo un tweet trumpiano di sabato scorso che accusa la rete tv americana Cnn di essere “una fonte principale di fake news e di rappresentare molto male la nostra Nazione davanti al MONDO. Il mondo esterno non vede la verità attraverso di loro”. Il tweet, che è l’ennesima accusa da parte di Trump contro la Cnn, ha avuto l’effetto mondano di far arrabbiare la rete tv, che ha deciso di non mandare giornalisti e direttori al party natalizio a cui la Casa Bianca invita i media e che si terrà domani. La portavoce di Trump ha risposto: “Natale quest’anno arriva prima: finalmente una buona notizia dalla Cnn”.
Ma la polemica ha fatto strada. Due giorni fa una rete satellitare della Libia ha cominciato a diffondere insinuazioni non provate su uno scoop clamoroso fatto dalla Cnn a Tripoli, dove un’inviata ha scoperto un mercato degli schiavi nel quale gli immigrati africani sono venduti per poche centinaia di dollari: per esempio, due spalatori in buone condizioni fisiche sono offerti all’asta a 400 dollari l’uno. Se il presidente americano è il primo a smentire le reti internazionali americane – tra le poche a potersi permettere di spedire inviati e di investire risorse in tutto il mondo: spesso i media italiani si limitano giocoforza a riportare notizie trovate dai colleghi americani – viene meno un pezzo di soft power americano.
Si tratta di una ferita autoinflitta, proprio mentre i media americani provano a tenere alti gli standard e a evitare di spacciare disinformazione: vedi per esempio il Washington Post che ha scoperto in tempo, grazie a un buon lavoro di controllo, che una fonte che si era proposta con una storia appetitosa contro un uomo di Trump era invece un impostore mandato a truffare il giornale per minarne la credibilità.
L'editoriale dell'elefantino