La trappola di Kim
La minaccia nucleare di Pyongyang, gli aiuti umanitari e la crisi di coscienza della comunità internazionale
Il missile lanciato l’altro ieri dalla Corea del nord segna l’ultima svolta nell’avanzamento tecnologico dell’arsenale di Pyongyang. Capire cosa sia in grado di fare il regime guidato da Kim Jong-un è impossibile per l’intelligence internazionale, che è costretta a basarsi sui dati di fatto: il missile balistico dell’altro ieri ha viaggiato più in alto e più lontano dei precedenti test nordcoreani – ha coperto 4.475 chilometri in altezza ed è caduto a 950 chilometri di distanza, volando per circa 53 minuti, secondo i dati ufficiali diffusi dall’agenzia di stampa nordcoreana Kcna e confermati dagli analisti internazionali. Un test di questo genere serve a Kim Jong-un a dimostrare di che cosa è capace la Corea del nord: se quello dell’altra notte fosse stato un lancio “operativo” e non un test, il missile avrebbe potuto colpire tranquillamente (quasi) ogni parte del globo. Inoltre è stato lanciato di notte, e da una piattaforma mobile, il che significa che intercettare e abbattere i missili nordcoreani prima che escano dall’atmosfera diventa sempre più difficile. Non sappiamo ancora se la Corea del nord sia in grado di miniaturizzare e installare una testata nucleare su un missile simile, e nemmeno se sia in grado di far rientrare dall’atmosfera un vettore armato, ed è questo il problema militare e strategico più importante per Seul, Tokyo e Washington.
Ma c’è un dilemma più grave che la comunità internazionale non ha ancora affrontato quando si parla della minaccia nordcoreana. Il supermissile arriva poche settimane dopo la defezione di un soldato nordcoreano di stanza a Panmunjeom, sul 38° parallelo. Per fuggire si è preso le pallottole dei commilitoni, è finito in ospedale in Corea del sud e l’équipe medica gli ha trovato nell’intestino parassiti debellati nei paesi sviluppati sin dagli anni Settanta, la tubercolosi e l’epatite. Chi controlla i confini della Corea del nord è membro di una élite militare, quindi trattato meglio degli altri cittadini. Ma quel ragazzo è fuggito dalla fame e da malattie curabili, che lo stavano uccidendo.
Poi c’è un’altra versione della storia: tre giorni fa, l’Australia ha bloccato ogni forma di aiuto umanitario diretto a Pyongyang. Sin dal 2002, il paese contribuiva al fondo per la Corea del nord del World Food Programme, e tra il 2014 e il 2016 ha donato complessivamente 2,3 milioni di dollari. Il World Food Programme è l’agenzia delle Nazioni Unite dove lavorava Kim Su-Gwang, spia nordcoreana infiltrata all’Onu, licenziato nel 2015. “La sospensione è da attribuire all’incapacità di monitorare la distribuzione degli aiuti umanitari nel paese”, ha fatto sapere il ministero degli Esteri di Canberra. La mossa dell’Australia arriva insieme a quella dell’Inghilterra, che pure ha bloccato gli aiuti umanitari: “Useremo ogni mezzo per manifestare il nostro disappunto per le provocazioni spericolate di Kim Jong-un”, ha detto alla Yonhap Mark Field, ministro del Foreign Office per l’Asia. La polemica delle ultime settimane riguardo agli enormi aiuti umanitari donati (la Corea del sud ha approvato altri 8 milioni due mesi fa) e sulla loro reale destinazione ricorda nei principi la catastrofe dell’Oil-for-food, il programma per aiutare la popolazione irachena tra il 1997 e il 2003, che finì per essere uno dei più grandi scandali di corruzione della storia moderna.
Secondo i dati della Banca mondiale, nonostante le sanzioni internazionali, la Corea del nord cresce, ed è mutata anche la “classe media” di una città come Pyongyang. Ma nelle campagne inaccessibili, nei campi di lavoro, la situazione è ben diversa. Il sistema economico di Kim Jong-un è ancora quello di trent’anni fa: ogni singolo centesimo concorre allo sviluppo degli armamenti che siano in grado di tenere in piedi la dinastia dei Kim e coronino il sogno di una Corea del nord come potenza nucleare. Sin dal 2006, anno del primo test atomico, Pyongyang è diventata maestra nell’arte dell’elusione delle sanzioni, e solo da pochi mesi inizia a sentirne la pressione – complice, forse, il coinvolgimento cinese. Lo sforzo di ricerca e sviluppo portato avanti negli anni dai suoi scienziati ha avuto un costo, e parte di quel costo potremmo averlo pagato noi. Il punto è, adesso, capire come trattare la Corea del nord: come un’emergenza umanitaria o come una minaccia nucleare per la sicurezza mondiale.