Corsica, Bastia, (foto Wikimedia)

La Corsica non è la Catalogna, ma ha un piano per diventarlo

Francesco Maselli

Domenica il voto nell'isola francese. L'alleanza tra autonomisti e indipendentisti è arrivata in testa al primo turno e sfiderà al ballottaggio la lista di destra regionalista. Eppure l’80 per cento dei corsi non vuole sentire parlare di indipendenza

Roma. La Corsica è la nuova Catalogna? Domenica la coalizione di autonomisti e indipendentisti (Pè a Corsica) è arrivata in testa al primo turno delle elezioni territoriali con il 45,36 per cento dei voti e sfiderà al ballottaggio la lista di destra regionalista “A strada di l’avvene”, che si è riuscita a qualificare con poco meno del 15 per cento.

   

Le elezioni sono state molto seguite in Francia perché per la prima volta nella loro storia i corsi hanno votato per un’entità amministrativa unica. Storicamente la Corsica è sempre stata divisa in due parti, a nord il dipartimento dell’Haute-Corse, con capoluogo Bastia, e a sud il dipartimento della Corse-du-Sud, con capoluogo Ajaccio. Dal primo gennaio 2018 i due dipartimenti saranno fusi, e per la prima volta dall’epoca romana l’isola verrà governata da un esecutivo unico con sede ad Ajaccio. La collettività è governata dal 2015 da un’alleanza formata da autonomisti (che controllano il consiglio esecutivo con Gilles Simeoni) e indipendentisti (che hanno ottenuto la presidenza dell’assemblea con Jean-Guy Talamoni).

    

Eppure l’80 per cento dei corsi non vuole sentire parlare di indipendenza, tema che al momento non è nemmeno sul tavolo: Jean-Guy Talamoni, pur essendo convinto che la sua isola abbia il diritto di governarsi da sola, è consapevole che “la Corsica non può essere paragonata alla Catalogna, la questione dell’indipendenza si porrà, probabilmente, tra dieci anni”, aveva spiegato due settimane fa in un’intervista a France Info. Stamattina, ospite a France inter, Talamoni ha ribadito il concetto: “Siamo indipendentisti e democratici. Se, tra dieci o quindici anni, la maggioranza dei corsi vorrà l’indipendenza, nessuno potrà opporvisi”. Insomma, nessuna velleità di aprire uno scontro con Parigi simile a quello visto in Spagna, per adesso. I motivi sono vari, in primo luogo la differente situazione economica: la Corsica non è una regione ricca e non è un centro finanziario rilevante come è invece la Catalogna. L’isola dipende in larga parte dallo stato centrale, al quale chiede, per il momento, semplicemente più autonomia per gestire meglio le particolarità del proprio territorio. E infatti uno degli slogan degli indipendentisti è migliorare l’economia della regione, proprio per convertire la maggioranza della popolazione alla causa.

    

Esiste inoltre un motivo sociologico: negli anni Sessanta molti francesi, costretti a lasciare l’Algeria, si trasferirono in Corsica cambiandone radicalmente l’elettorato. Secondo l’istituto di sondaggi Ifop, che ha consultato la quasi totalità delle liste elettorali, soltanto il 50 per cento degli elettori corsi è nato nell’isola: “Questa variabile statistica è ricca di insegnamenti perché mostra l’ampiezza della popolazione ‘allogena’ (continentali e immigrati), e il suo peso particolarmente elevato nelle aree costiere”, ha scritto sul Figaro Jérôme Fourquet, direttore del dipartimento opinione dell’istituto. Alle ultime presidenziali Emmanuel Macron è arrivato terzo dietro a François Fillon e a Marine Le Pen con il 18,5 per cento dei voti; persino nelle grandi città il messaggio di En Marche! non ha convinto, ottenendo percentuali simili a quelle raggiunte nelle aree rurali (18,7 per cento ad Ajaccio, 19,3 per cento a Bastia). Fourquet ha spiegato che in Corsica il “degagismo”, la voglia di spazzare via la classe dirigente che ha condotto Emmanuel Macron all’Eliseo, è stato intercettato dai movimenti nazionalisti.

 

Grazie ad alcune vittorie elettorali nelle grandi città dell’isola come Bastia, hanno dimostrato di saper gestire la cosa pubblica e di saper sconfiggere i notabili corsi che controllavano da anni la politica dell’isola. La credibilità e l’aperta rinuncia dei metodi violenti per perseguire i propri obiettivi ha pagato: alle ultime legislative i nazionalisti hanno conquistato tre seggi sui quattro assegnati, una vetrina non indifferente per la causa isolana. Jean-Guy Talamoni, in tutte le sue apparizioni televisive, assicura comunque che gli indipendentisti non vogliono “imporre” l’indipendenza, ma convincere i corsi che è la strada migliore con metodi democratici.

 

(I grafici sono del Monde)

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