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Il problema dei Paesi baschi dopo la crisi catalana

Eugenio Cau

Il referendum per l'autonomia ha rovinato il modello spagnolo

Roma. In Spagna, mentre l’attenzione di tutti era concentrata sulle intemperanze autonomiste della Catalogna, Iñigo Urkullu ha capito che poteva approfittare della situazione a proprio favore. Urkullu è il lendakari (vale a dire: il governatore regionale) dei Paesi Baschi e il presidente del Pnv, il Partito nazionalista basco da cui negli ultimi mesi è dipesa nel Parlamento nazionale l’approvazione della legge Finanziaria. Urkullu ha visto quello che stava succedendo in Catalogna e ha deciso che, per una volta, i baschi si trovavano in una posizione di forza: erano fondamentali per la tenuta della maggioranza alle Cortes e al tempo stesso erano temuti perché tutti sapevano che, se l’indipendentismo catalano avesse avuto successo, i prossimi sarebbero stati proprio i baschi. Urkullu si è fatto furbo. Prima ha fatto da negoziatore nel disastro catalano, poi si è seduto lui stesso al tavolo delle contrattazioni con Madrid. Urkullu ha promesso al premier conservatore Mariano Rajoy la fedeltà dei Paesi baschi alla nazione e l’approvazione della Finanziaria, ma in cambio ha detto: vogliamo una grossa fetta di privilegi fiscali.

  

E’ una richiesta pesante, perché i Paesi baschi già adesso hanno un sistema finanziario favorevole come pochi in Europa: grazie a un accordo che risale al Diciannovesimo secolo, nei Paesi baschi non è lo stato a raccogliere le tasse, ma la regione autonoma, che poi ogni anno dà allo stato una quota fissa a mo’ di rimborso (si chiama Cupo) che corrisponde a poco più del 6 per cento del pil spagnolo. La quota è stata decisa negli anni 80 in base al peso dei Paesi baschi sull’economia statale, ma da allora i baschi sono diventati molto più ricchi, pur pagando sempre le stesse tasse. Urkullu però ha tirato fuori certi calcoli in base ai quali negli ultimi anni i baschi hanno pagato 1,6 miliardi di euro più del dovuto, e hanno chiesto a Rajoy uno sconto del Cupo di diverse centinaia di milioni. Il governo, seppur a malincuore, ha accettato temendo che alle intemperanze catalane si aggiungessero quelle basche, ma a quel punto si sono levate le proteste di tutte le altre regioni.

  

La crisi catalana ha reso gli spagnoli eccezionalmente sensibili quando si parla di solidarietà fiscale e unità nazionale, e tutti, dall’Andalusia alla Castiglia, hanno detto: i baschi vivono in un regime di privilegio, perché noi no? A far infuriare gli altri spagnoli ci sono anche le proposte di riforma costituzionale messe sul tavolo per placare l’ira indipendentista catalana, che darebbero nuovi vantaggi a Barcellona. Così, quando lunedì Urkullu ha scritto sul País che il modello catalano potrebbe andar bene anche per il resto della Spagna (ma l’intenzione era: per la Catalogna) tutti si sono ribellati, e alcuni hanno iniziato a urlare: basta con i privilegi non solo ai catalani, ma anche ai baschi. Così, a forza di tirare la coperta dell’indipendentismo, i catalani potrebbero aver rovinato anche la buona formula dell’autonomismo.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.