Leggere Macron e capire che persino sul clima si possono dire cose apprezzabili

Giuliano Ferrara

I documenti del macronismo hanno il fascino discreto della competenza, della semplicità tecnica, della buona lingua parlata e scritta

Leggere Emmanuel Macron è molto istruttivo, sempre. Ho mancato la risposta dell’Eliseo e del suo inquilino a Giggino Di Maio, il suo non-alter-ego, e non so nemmeno se ci sia stata. Ma i documenti del macronismo, che se la sta cavando, sebbene si debba sempre restare prudenti in previsioni, hanno il fascino discreto della competenza, della semplicità tecnica, della buona lingua parlata e scritta. Ultimo in ordine di tempo è un colloquio con il Monde su clima, economia, società e stati. Da tempo immemorabile, da quando Trump era ancora un ecologista newyorchese, prendo a sberleffo certi diktat ideologici sul riscaldamento globale. Mi diverto a dire, quando fa freddo, che il riscaldamento è globale ma il freddo è rigorosamente locale. Spernacchio i reali inglesi quando proclamano che non bisogna prendere l’aereo per non inquinare il cielo, Cielo! Mi fa ridere o piangere ogni proposta di controllo sociale climatico-statalista che non abbia un severo riscontro nella realtà di dati spesso manipolati e intrugliati in vario modo da lobby di tutte le specie. Leggendo Macron, a Roma, per la prima volta mi sono imbattuto in un testo apprezzabile tecnicamente, politicamente e socialmente, e scandito con un tono giusto. Eccomi suffragetta benemerita della CO2.

 

Che il mondo vada salvato, ancora ne dubito. Le anime forse. Laudato si’, ma per altre ragioni che non quelle della casuistica gesuita. Ma la terra è abbastanza grande per badare a sé stessa, mi dico e mi ripeto. Però va ripulito, l’ambiente. L’inquinamento è percepibile per i sessantenni, che respiravano aria migliore in giro per le città tanti anni fa, e vivevano in una condizione da immondezzaio eco-compatibile per la metà degli abitanti del pianeta (ancora qualche anno fa le cose scartate in campagna si bruciavano in apposita buca, ma non c’erano tutti quei disastrosi pacchi e la dittatura della plastica e di altri materiali repellenti). Inoltre mi è sempre sembrato opportuno precisare che al di là dei dettati scientifici e parascientifici, e delle politiche pubbliche centralizzate, la chiave di tutto questo repulisti è nelle mani della società, intesa come mercato, come mercato regolato in costanza della sua natura sempre più finanziaria. Questione di investimenti da favorire anche con la mano pubblica, ma affidati ai privati, alle conglomerate, magari ai filantropi facoltosi, questione di ricerca da incrementare, di tasse ad hoc da inventare e applicare con destinazione chiara degli introiti. Il cambiamento del modo di produrre e consumare è una vecchia utopia, ma se ne può estrarre il ragionevole, da certe utopie. Ecco. Macron, quando parla di Europa a due velocità con cooperazioni rafforzate sull’energia, dal nucleare ai fossili alle rinnovabili, quando mette la Francia alla guida, anche in mancanza d’altro, per adesso, di un processo di transizione ecologica non più solo diplomatico e pedagogico, suona realistico e giusto.

 

Sarà perché è un banchiere, sarà perché ha fatto le scuole giuste, sarà per il sospetto di umanesimo colto e liberale che il giovane presidente sparge intorno a sé con qualche comprensibile vanità à la française, sarà perché, creando un alto tasso di inquinamento da code a Parigi, ha tuttavia messo insieme sul bateau Mirage che percorreva e inquinava la Senna cinquanta paesi superstiti della Cop21, e una quantità di star della pubblica carità eticamente orientata, più le stelline che fanno tappeto rosso, non so perché ma risulta convincente, anche giocoso, non uno col ditino alzato, piuttosto uno che vuole trovare la quadra nel mercato e nel mondo neoliberale, senza predicare come il caro Guido Viale la riconversione in industria per la attrezzeria sanitaria, utile certo, dei complessi di produzione dell’automobile, utilissima anch’essa. Ora non entro nei dettagli, ma se ve la leggete (Le Monde è in vendita anche all’edicola del Testaccio, e poi c’è il web nella sua meravigliosa trasparenza) vedrete che non ci sono soltanto formule politiciste e diplomatiche, c’è lo sforzo di dimostrare che qualcosa va fatto e può essere fatto, anche senza l’amministrazione americana in questo brutto momento (complimenti a Doug Jones, comunque, e agli elettori dell’Alabama). E la cosa importante è che non si sente tanto lo sforzo, la credibilità è nel minimalismo gigantesco e ingombrante, un minimalismo culturale alla misura della circonferenza terrestre, che è la misura di una signora palla che amiamo, e non delle balle che detestiamo, noi nuovi adepti dell’ecocompatibilità.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.