Donald Tusk e Paolo Gentiloni (foto LaPresse)

Com'è andato l'incontro tra Gentiloni e i paesi dell'est Europa sui migranti

Luca Gambardella

Il primo ministro italiano dice che i soldi offerti dal Gruppo di Visegraad non bastano e che serve uno sforzo politico. E sulla riforma di Dublino arriva il primo stress test per l'"Agenda dei Leader" di Macron e Merkel

Ieri a Bruxelles è iniziato il primo round dello scontro istituzionale in corso tra la Commissione Ue e gli stati membri, conseguenza diretta della rivoluzione voluta da Macron e Merkel per rilanciare il progetto europeo. Il terreno di confronto è quello della riforma di Dublino che prevede l'obbligatorietà della ripartizione delle quote dei rifugiati tra tutti i paesi dell'Ue. Il nuovo sistema renderebbe strutturale il ricollocamento dei rifugiati da Italia e Grecia inaugurato nel 2015, ma è stato contestato ieri in una nota proprio dal presidente dell'Ue, il polacco Donald Tusk, che ha usato toni irrituali nel giudicare la proposta della Commissione Ue "altamente divisiva" e "inefficace". Oggi, il premier italiano Paolo Gentiloni ha deciso di schierarsi dalla parte di Jean-Claude Junker definendo le quote dei rifugiati il "minimo sindacale per l'Ue". Stamattina a Bruxelles, insieme al presidente della Commissione europea, Gentiloni ha incontrato i leader dei paesi dell'est Europa che si oppongono alla ripartizione dei rifugiati – Slovacchia, Repubblica ceca, Polonia e Ungheria – ma il mini-vertice, tenuto a margine del Consiglio europeo che si apre in serata, non ha prodotto risultati sostanziali.

  

I paesi del Gruppo di Visegrad hanno proposto di aumentare i loro sforzi per finanziare l'EU Emergency Trust Fund for Africa, istituito nel 2015 con l'obiettivo di stabilizzare i paesi africani riducendo così gli sbarchi in Europa. Per farsi un'idea, finora l'Italia ha contribuito al fondo con 100 milioni di euro, mentre paesi dell'Europa orientale come Bulgaria, Lituania e Slovenia l'hanno finanziato con appena 50 mila euro ciascuno. Oggi invece i quattro paesi dell'est hanno alzato la posta fino a 35 milioni di euro, da destinare al rafforzamento delle frontiere della Libia in cambio di un passo indietro dell'Italia sulle quote.

  

 

Uno sforzo "da apprezzare", ha commentato Gentiloni, ma che "non cambia la necessità di avere un impegno deciso della Ue sul ricollocamento dei rifugiati". Bene il contributo, insomma, ma l'Italia intende raggiungere l'obiettivo di un piano condiviso, solidale strutturato da parte dell'Ue in favore dei paesi del fronte meridionale dell'Europa: in pratica, quello delle quote obbligatorie.

 

Dopo la nota inviata ieri da Tusk, i paesi dell'est si sono presentati a Bruxelles con la convinzione che l'Ue non si sarebbe opposta nuovamente alle loro obiezioni sul tema del ricollocamento. "Gli stati sono consapevoli che le decisioni in materia di quote non risolveranno il problema della migrazione illegale, avendo anzi un impatto negativo complessivo sulla immagine dell'Ue e della Commissione", ha detto stamattina il premier ceco Andrej Babis. "Non esiste alcun diritto umano che autorizzi a viaggiare nell'Ue, che quindi deve difendersi", ha rilanciato il primo ministro slovacco Robert Fico. Anche per l'Ungheria, che è la capofila dei sostenitori dei muri anti migranti in Europa, lo sforzo compiuto oggi offrendo dei soldi per le frontiere libiche è di per sé una dimostrazione di solidarietà. "Se si mostrasse necessario e di aiuto, siamo pronti a prendere parte alla gestione operativa di tutta la questione", ha promesso il primo ministro Viktor Orbán. "Siamo a un punto cruciale nell'Ue in termini di comprensione della politica sui rifugiati e sono felice che il nostro approccio sia sempre più accettato", ha aggiunto il nuovo primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, alla sua prima missione ufficiale fuori dal paese.

  

Le parole rivolte ieri da Tusk hanno concretizzato per la prima volta la cosiddetta "Agenda dei leader", decisa nello scorso vertice di Tallinn dal duo Merkel-Macron per dare più vigore alle iniziative degli stati membri e per ridimensionare il ruolo della Commissione, investita di compiti di proposta legislativa dai trattati ma di fatto considerato l'organo burocratizzato per eccellenza nell'Ue, simbolo della distanza incolmabile tra cittadini e istituzioni. Alla Commissione il nuovo ruolo subalterno non sembra piacere e per questo ieri sono arrivate le reazioni dure del commissario per l'Immigrazione Dimitris Avramopoulos, che ha definito "anti europee" le parole di Tusk e che non parteciperà alle discussioni di stasera al Consiglio. "E' una questione di modi", ha commentato un funzionario dell'Ue al sito EuObserver per raccontare lo sdegno del Barlaymont nei confronti del presidente dell'Ue.

 

Anche il Parlamento europeo ha reagito con rabbia ai toni inconsueti usati da Tusk: "E' un ottimo esempio di cattiva leadership europea", ha detto a Politico Europe l'europarlamentare svedese Cecilia Wikström. Entrambi, Europarlamento e Commissione, hanno così inaugurato la propria guerra interistituzionale al "nuovo" Consiglio a propulsione franco-tedesca che intende dare nuovo vigore al dibattito europeo sulle riforme, senza confinarlo alle segrete stanze della Commissione.

 

La rivoluzione di Macron e Merkel per la prima volta sarà messa a dura prova anche dal Parlamento Ue, anch'esso geloso dei propri poteri che gli assegnano la stessa voce in capitolo del Consiglio sulla riforma della politica migratoria europea. Eppure le parole di Tusk hanno aperto uno spiraglio per i negoziati sui rifugiati, inaugurando finalmente un confronto con i paesi dell'est che, finora, aveva trovato spazio solo nell'Aula della Corte di Giustizia europea, dove i giudici hanno rigettato i ricorsi presentati da Ungheria, Polonia e Slovacchia sul sistema delle quote. Le distanze però – come ha ricordato Gentiloni – restano, perché le soluzioni proposte dall'Europa dell'est restano lontane da qualsiasi impegno politico. Uno stress test notevole per il nuovo "format dei leader" che si inaugura oggi al vertice di Bruxelles.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.