Tusk fa arrabbiare tutti ma può risvegliare l'iniziativa europea
Il presidente del Consiglio europeo si è schierato contro le quote obbligatorie di ripartizione dei richiedenti asilo e ha definito “inefficace” il programma di ridistribuzione da Italia e Grecia lanciato nel 2015
Bruxelles. Complice la franchezza politicamente scorretta del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, la gestione della politica migratoria da parte dell’Unione europea tornerà a essere un dossier controverso nel Vertice dei capi di stato e di governo di oggi e domani. Una nota preparata da Tusk in vista della discussione sull’immigrazione questa sera ha provocato una serie di reazioni piccate, perché il presidente del Consiglio europeo si è schierato contro le quote obbligatorie di ripartizione dei richiedenti asilo nella riforma di Dublino e ha definito “inefficace” e “divisivo” il programma di ridistribuzione da Italia e Grecia lanciato nel 2015.
Il commissario all’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, ha definito il documento “antieuropeo”. Il portavoce della commissione ha fatto sapere che Jean-Claude Juncker è in “fermo disaccordo” con Tusk. Il presidente del Consiglio europeo è stato costretto a correggere il tiro, ma il succo del documento Tusk non cambia: le quote obbligatorie sono controproducenti e la riforma di Dublino deve essere adottata per consenso, cioè con il sostegno unanime degli stati membri, senza un voto a maggioranza che approfondirebbe la frattura tra est e ovest.
La sostanza della nota di Tusk è contestabile e contestata sia politicamente sia giuridicamente. Il Parlamento europeo ha proposto una riforma di Dublino che abolisce il principio del paese di primo approdo e introduce un meccanismo di ridistribuzione dei richiedenti asilo permanente. Il suo presidente, Antonio Tajani, ha promesso di farsi sentire al Vertice ricordando ai leader che su Dublino c’è “la possibilità di decidere a maggioranza qualificata”. Ma il metodo Tusk almeno ha un merito: costringere i capi di stato e di governo ad assumersi le loro responsabilità per uscire dallo stallo in cui sono finiti i loro ministri o dichiarare fallito il tentativo di darsi una politica comune europea su immigrazione e asilo.
La proposta della commissione per riformare Dublino era stata lanciata nel maggio del 2016. In più di un anno e mezzo i ministri dell’Interno hanno dibattuto di quote obbligatorie con cadenza mensile. Le tre presidenze di turno che si sono susseguite – Slovacchia, Malta e Estonia – si sono inventate concetti fantasiosi come la “solidarietà flessibile” o la “solidarietà efficace”. Ogni semestre la scadenza per un accordo è stata rinviata. Risultato: la riforma di Dublino è insabbiata. Grazie alla nota di Tusk, invece, si va “al cuore della questione”, spiega al Foglio una fonte comunitaria: “Il documento è controverso, ma può far avanzare le cose”.
I leader sono chiamati a prendere una decisione. Vista la rivolta quasi unanime contro la nota – solo Ungheria e Polonia avrebbero sostenuto il presidente del Consiglio europeo – non è escluso che alla fine si arrivi a un’indicazione opposta a quella di Tusk: senza unanimità su Dublino, niente consenso, ma voto a maggioranza.
Il metodo Tusk potrebbe funzionare anche per la riforma dell’architettura della zona euro. In un’altra nota sull’unione economica e monetaria, il presidente del Consiglio europeo ha scelto l’approccio minimalista chiedendo ai leader di dare mandato ai ministri dell’Eurogruppo di concentrarsi per i prossimi sei mesi sulle questioni su cui si registra già convergenza: il paracadute comune per il Fondo di risoluzione unico delle banche in crisi, la trasformazione del Meccanismo europeo di stabilità (il fondo salva-Stati, ndr) in Fondo monetario europeo e il completamento dell’Unione bancaria con l’introduzione graduale di uno Schema europeo di assicurazione dei depositi.
Sulle proposte ambiziose di Emmanuel Macron o quelle meno spettacolari della Commissione Juncker “non c’è ampia convergenza”, dice la nota di Tusk. Soprattutto, senza un governo con i pieni poteri a Berlino, “i tedeschi non sono ancora pronti”, spiega un’altra fonte. Ma più il tempo passa, più aumenta il rischio di annacquare la riforma della zona euro. Nella discussione che avranno al vertice che si apre oggi, i leader dovranno assumersi la responsabilità di scegliere se l’Europa di Macron può attendere.