Mateusz Morawiecki e Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Due sorprese che forse cambiano la deriva illiberale dell'est Europa

David Carretta

La procedura europea contro la Polonia non ha precedenti. Ma attenzione ai dettagli, e alle reazioni. Anche a Praga

Bruxelles. La Commissione europea mercoledì ha avviato contro la Polonia la procedura dell’articolo 7 del Trattato per il rischio di violazione grave dei valori fondamentali; il nuovo governo austriaco di Sebastian Kurz potrebbe diventare il numero 5 del V4 di Visegrad; ma dall’Europa dell’est arrivano anche un paio di sorprese che potrebbero smentire la narrazione del nazional-populismo illiberale che si allontana dall’Ue e dalla democrazia.

 

La prima sorpresa ha il nome di Andrej Babiš, il nuovo primo ministro della Repubblica ceca, che sta già dando prove di europeismo con l’annuncio di voler sottoscrivere il Fiscal Compact e sostenere il progetto di riforma dell’architettura della zona euro, anche se ritiene che il suo paese non sia ancora pronto ad aderire alla moneta unica. La seconda sorpresa ha il nome di Mateusz Morawiecki, diventato primo ministro della Polonia in un rimpasto voluto dal grande burattinaio nazional-populista di Varsavia (il leader del partito Legge e Giustizia, Jarosław Kaczynski), ma che potrebbe presagire una relazione molto più consensuale con l’Ue e i partner europei. Con la disputa sulle politiche migratorie e la riforma di Dublino destinata a durare ancora molti mesi, la normalizzazione dei rapporti tra quelle che un tempo erano chiamate Vecchia e Nuova Europa è condizionata a molti “se”, non ultimo la volontà di Berlino e Parigi di non approfondire la spaccatura in settori come l’Ue a più velocità, la libera circolazione dei lavoratori o il mercato interno. Ma, lungi dall’aderire al progetto di Kurz e dei suoi alleati della Fpö, Babiš e forse Morawiecki potrebbero scegliere di rinunciare a un V5 austro-ungarico per un’Ue più liberale.

 

La decisione della Commissione sull’articolo 7, che potrebbe portare a sanzioni come la perdita del diritto di voto della Polonia, non ha precedenti e nel breve periodo è destinata a inacidire lo scontro con Varsavia, ma l’esecutivo comunitario ha lasciato la porta aperta a una retromarcia collettiva. Sulla Polonia “purtroppo le nostre preoccupazioni si sono approfondite. Negli due ultimi anni sono state adottate 13 leggi che mettono a rischio l’indipendenza del potere giudiziario”, ha spiegato il vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans: “La maggioranza di governo può interferire in modo sistematico nel funzionamento dell’autorità giudiziaria”. Secondo Timmermans, “la Polonia non ci ha lasciato altra scelta”, ma l’attivazione dell’articolo 7 “non è l’opzione nucleare. E’ un tentativo di far ripartire il dialogo per risolvere la situazione”. Se Varsavia adotterà “le azioni raccomandate, lacommissione è pronta a riconsiderare la sua posizione”, ha spiegato Timmermans. La risposta del nuovo primo ministro polacco è stata molto più moderata di quella che ci sarebbe potuta attendere dal suo predecessore, Beata Szydło. “La Polonia è impegnata per il mantenimento dello stato di diritto come il resto dell’Ue”, ha scritto su Twitter il premier Morawiecki: la riforma della giustizia è “profondamente necessaria”, il dialogo con la commissione deve essere “aperto e onesto”, ma “credo che la sovranità della Polonia e l’idea di Europa unita possano essere riconciliate”. Su invito di Jean-Claude Juncker, il 9 gennaio Morawiecki dovrebbe andare a Bruxelles per discutere dell’articolo 7 e della riforma della giustizia in Polonia, cosa che Szydło si era sempre rifiutata di fare.

 

La reazione cauta di Morawiecki

 

Le intenzioni europeiste di Morawiecki sono tutte da verificare. Kaczynski lo ha scelto, guardando alle prossime elezioni: se l’ultraconservatrice Szydło era l’eroina della base del partito Legge e Giustizia, con le sue competenze economiche Morawiecki può sedurre la borghesia polacca più vicina ai conservatori moderati e ai liberali. Ma il profilo del nuovo premier lascia intravedere anche un tentativo di riconciliazione con l’Ue. Ex banchiere (con uno stage alla Bundesbank), Morawiecki parla inglese e tedesco, ha studiano in Germania, è stato membro di Solidarnosc e ha perfino lavorato come consigliere di Donald Tusk, presidente del consiglio europeo e acerrimo rivale di Kaczynski, con cui è rimasto in buoni rapporti. Se la base del partito Legge e Giustizia lo disprezza, da ministro delle Finanze Morawiecki ha evitato un deragliamento economico a causa delle promesse populiste. Anzi, meglio: la ripresa dell’economia si è accelerata, mentre il deficit si è ridotto. Secondo alcuni osservatori delle vicende polacche, Morawiecki sarebbe stato scelto per portare avanti un progetto di normalizzazione del partito Legge e Giustizia e trovare un modo per convincere con l’Ue. Altro piccolo gesto nei confronti di Bruxelles, dopo aver promesso qualche milione di euro per il Trust Fund per l’Africa in un incontro tra Paolo Gentiloni e il V4, Morawiecki ha nominato il ministro responsabile dei rifugiati, Beata Kempa: il “no” sulla ricollocazione dei richiedenti asilo non cambia, ma Varsavia vuole giocare un ruolo più costruttivo sui migranti.

 

In Repubblica ceca, invece, la promessa europeista di Babiš si sta già trasformando in realtà. Anche il premier ceco ha messo mano al portafoglio per aiutare l’Italia sulla Libia. A Bruxelles, alcuni sostengono che l’iniziativa sui 35 milioni per il Trust Fund per l’Africa sia partita da lui. Il suo annuncio, appena prima del Consiglio europeo della scorsa settimana, di voler sottoscrivere il Fiscal Compact ha sorpreso gli osservatori che erano giunti un po’ troppo presto alla conclusione di un inverno populista e antieuropeo a Praga. Malgrado le divergenze sulla ricollocazione dei richiedenti asilo, il suo partito Ano è pro-Ue: imprenditore di successo che ha espanso il suo impero in molti altri Stati membri, il nuovo premier si vuole euro-pragmatico. “La Repubblica ceca ha tutto l’interesse che l’eurozona funzioni bene, anche perché la maggior parte delle esportazioni ceche è diretta verso i paesi dell’Ue e sul nostro territorio ci sono molti investitori provenienti dai paesi membri”, spiega al Foglio Martina Dlabajova, eurodeputata di Ano e consigliere ombra di Babiš sulle questioni europee: “Vogliamo preservare l’equilibrio delle finanze pubbliche e siamo pronti a contribuire alla discussione sulla riforma e sulla stabilità dell’eurozona”. Secondo Dlabajova, “Babiš non esclude la possibilità di adottare l’euro nel futuro, decisione che potrebbe concretizzarsi solo dopo aver constatato un’Eurozona riformata e stabilizzata”.

 

Le priorità della Repubblica ceca

 

La procedura contro la Polonia sull’articolo 7 potrebbe rappresentare la conferma definitiva dell’europeismo di Babiš. “Il primo ministro è ben consapevole del fatto che l’Ue è fondata su dei valori comuni condivisi da tutti gli stati membri”, dice Dlabajova. Secondo alcuni media cechi, Praga sarebbe pronto a votare contro Varsavia. Dlabajova è più diplomatica: “Quello che serve ora è continuare nel dialogo intenso con la Polonia e trovare una soluzione comune. Non vogliamo assolutamente che questa situazione spinga Varsavia sempre più verso l’est continuando a dividere l’Europa”. Dlabajova spiega di nutrire “una certa speranza nel nuovo primo ministro polacco Mateusz Morawiecki che dovrebbe fare dei passi concreti nei confronti della Commissione”. Ma per Babiš è più importante il V4 o l’Ue? “Su questo punto non ho dubbi”, risponde Dlabajova: “Essere membro dell’Ue è chiaramente la priorità”.