Dopo un anno isterico
Il taglio delle tasse è la prima vittoria di Trump. Il Gop torna a respirare
La più grande riforma fiscale dai tempi di Reagan sostiene crescita e produttività. Ora la destra deve farlo capire agli americani
New York. Quando nel 2010 Barack Obama ha firmato la riforma sanitaria, il vicepresidente Joe Biden gli ha sussurrato all’orecchio: it’s a big fucking deal. L’Obamacare era il pezzo grosso dell’agenda, il successo che gli avrebbe garantito un posto d’onore nella storia democratica. Il taglio delle tasse votato mercoledì al Senato – e poi di nuovo alla Camera, per correggere alcuni errori procedurali – è il big fucking deal di Donald Trump, arrivato dopo quasi un anno di leadership isterica e inconcludente, con le promesse di riforme da realizzare immediatamente rimandate di mese in mese. Il presidente e i repubblicani, infine uniti sull’unica porzione di terreno comune, la politica fiscale, hanno ottenuto il più grande taglio delle tasse dai tempi di Reagan, secondo alcuni parametri il più profondo della storia americana. La legge che Trump controfirmerà nei prossimi giorni prevede tagli per 1.500 miliardi di dollari, con un abbassamento dell’aliquota per le aziende dal 35 per cento al 21 per cento, misura significativa per incoraggiare la produzione e aumentare la competitività. Scendono anche, ma in ragione inferiore, le tasse per i privati, cosa che ha fatto storcere leggermente il naso ai liberisti più puri.
“Il cuore della riforma consiste nell’aiutare la middle class”, ha detto il presidente, e nonostante circolino molti fantasmi su una riforma fatta per arricchire ancora di più i miliardari a spese degli altri, tutti gli studi indipendenti dicono che la classe media ne trarrà beneficio. Lo speaker della Camera, Paul Ryan , la mente dietro una riforma che sognava da anni, ha scritto sul Wall Street Journal che una famiglia di quattro persone con un reddito di 73 mila dollari avrà un taglio delle tasse di oltre duemila dollari. L’Irs, l’agenzia delle entrate americana, ha annunciato che aggiornerà le tabelle a febbraio, quindi a partire da marzo la maggioranza degli americani si troverà una busta paga più ricca. Il Tax Policy Center, istituto bipartisan, sostiene che otto americani su dieci vedranno diminuire le tasse, e soltanto il 5 per cento della popolazione pagherà di più. Si tratta di persone che guadagnano più di 300 mila dollari l’anno e hanno proprietà immobiliari negli stati che hanno le imposte locali più alte, come New York e la California.
I repubblicani dicono che l’effetto immediato, tangibile del provvedimento, provvederà a rovesciare rapidamente i pessimi sondaggi sulla popolarità della legge. Trump avrà anche vinto una battaglia legislativa, ma nella guerra della percezione è l’eterno perdente. Un sondaggio Cnn dice che il 55 per cento degli americani è contrario alla riforma fiscale, e la metà della popolazione adulta è convinta che pagherà più tasse. Il testo approvato mercoledì contiene anche un sostanziale indebolimento dell’Obamacare, che viene spogliata della multa per chi non ha un’assicurazione sanitaria. Non si tratta formalmente della tanto agognata revoca della riforma sanitaria, ma Trump lo chiama un “repeal nella sostanza”, e non sarebbe potuto arrivare se non attraverso una riforma fiscale onnicomprensiva. Il Gop non aveva i numeri per unire un arco conservatore che va dall’intransigente Ted Cruz alla centrista Susan Collins su una riforma sanitaria (e su molte altre), ma sulle tasse tutte le linee della destra hanno trovato una convergenza. Dai nazionalisti paleocon fino ai liberisti del Wall Street Journal, il solenne taglio delle tasse mette tutti d’accordo, e cementa un po’ la convinzione che a questo traguardo siano ancorate le sorti del midterm del prossimo anno. E forse Trump ha trovato la formula del successo: scansarsi. L’ha spiegato bene Ryan: “Ha capito che lasciare che gli esperti fiscali facessero il loro lavoro era la cosa migliore”.