Guida alle elezioni di oggi in Catalogna, per sapere chi è chi
Scarse possibilità di formare un governo, molti intrighi, politici locali più famosi dei politici nazionali. Facce e numeri
Roma. Uno degli effetti della crisi secessionista in Catalogna è che la classe dirigente locale, fatta di amministratori di piccoli centri, politici part time, parlamentari regionali con un’occupazione che li aspetta a mandato concluso si sono trovati improvvisamente al centro della politica non solo spagnola, ma europea. E’ il privilegio di essere i protagonisti della maggior crisi continentale degli ultimi anni. Se chiedete a un cittadino europeo chi è il leader nazionale del Partito socialista spagnolo quasi certamente non vi saprà rispondere, ma è invece probabile che sappia associare alla Catalogna la zazzera di Carles Puigdemont o i capelli neri di Inés Arrimadas. I politici locali sono più famosi dei politici nazionali, e con la Catalogna oggi al voto è bene imparare a conoscerli.
Inés Arrimadas. Iniziamo dai due favoriti al voto di oggi, Arrimadas e Oriol Junqueras. La giovane leader di Ciutadans, la sezione catalana del partito centrista Ciudadanos, non è nata in Catalogna. E’ andalusa, la sua famiglia si è trasferita in Catalogna quando lei era piccola, Inés è tornata a Siviglia per studiare all’Università e poi si è trasferita di nuovo a Barcellona. Il fatto di non avere sangue catalano inizialmente l’ha penalizzata: in molti hanno pensato che Albert Rivera, leader nazionale di Ciudadanos, avesse elicotterato la giovane Arrimadas alle elezioni del 2015 per avere un bel volto sui manifesti elettorali e nulla più. Le cose sono cambiate con la crisi secessionista. Con un paio di discorsi ben piazzati, emozionanti e retorici al punto giusto recitati durante i dibattiti parlamentari sulla dichiarazione d’indipendenza, Arrimadas si è guadagnata il titolo di leader de facto dell’opposizione unionista, e le sue origini non catalane sono diventate un elemento di forza, che oggi le consentono di dire: ho tre identità, quella spagnola, quella catalana e quella europea, e ho il cuore abbastanza grande per contenerle tutte e tre insieme. Secondo i sondaggi, oggi Ciutadans dovrebbe ottenere almeno 30 seggi e potrebbe diventare il primo partito catalano.
Oriol Junqueras. L’ex vicepresidente della Generalitat è l’ultimo sopravvissuto di una vecchia generazione di politici catalani di cui il governatore deposto Puigdemont, apparso sulla scena politica regionale solo nel 2015, non ha mai fatto parte. Il leader di Esquerra Republicana (Erc) ha avuto il grande merito di federare la sinistra nazionalista intorno a sé ed è il vero motore del movimento indipendentista. Puigdemont era l’uomo immagine, ma era Junqueras che manovrava i movimenti sociali, organizzava le manifestazioni, ordiva i piani economici per il post indipendenza (e, secondo i giornali spagnoli, insabbiava i dati quando le analisi dicevano che in caso di indipendenza l’economia sarebbe colata a picco). Se l’insieme dei partiti indipendentisti ottenesse la maggioranza assoluta, lui sarebbe senz’altro il nuovo presidente regionale, e questo sarebbe un problema per Madrid: la sua fede indipendentista è assoluta e poco incline al dialogo. Ma Junqueras è in prigione, uno dei “presos politicos”. Lui ha detto che se Erc dovesse essere il primo partito, al suo posto andrà la vice Marta Rovira, ma senza il federatore la sinistra indipendentista rischia di esplodere. Secondo i sondaggi, anche Erc viaggia intorno ai 30 seggi al Parlament.
Miquel Iceta. All’inizio degli anni Duemila il Psc, Partito socialista di Catalogna, era la prima forza politica locale ed esprimeva il governo, con Erc (vedi sopra) come partner minore. I pallidi governi socialisti dei primi Duemila non sono riusciti però a fermare l’ondata nazionalista, e la storia del Psc negli ultimi vent’anni è quella di una lunga ritirata. Miquel Iceta, segretario dal 2014, purissimo burocrate di partito privo di qualsivoglia carisma, non è mai riuscito a migliorare la situazione, ma la crisi catalana è stata per lui una seconda giovinezza. Iceta non è un grande retore, ma è astuto politicamente, e in questi mesi ha cercato di mostrarsi come l’uomo del compromesso. Nelle settimane che hanno preceduto la dichiarazione di indipendenza e l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione si è presentato come favorevole al dialogo, poi ha invocato un 155 il più blando possibile, infine ha chiesto un indulto per tutti i secessionisti pentiti. Se le forze indipendentiste dovessero mancare la maggioranza assoluta al Parlament, Iceta potrebbe ottenere abbastanza consensi trasversali da essere nominato a capo di un governo di minoranza, anche se i sondaggi danno al Psc poco più di 20 seggi.
Xavier García Albiol. Il Partito popolare non è mai stato molto seguito in Catalogna, e il suo leader non ha fatto molto per aiutarlo. Ex sindaco di Badalona, alto due metri e un centimetro, García Albiol si è fatto riconoscere all’inizio della sua carriera per le uscite xenofobiche e le politiche che restringevano gli aiuti pubblici alle famiglie non spagnole. Martedì ha chiuso la campagna elettorale con il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy sul palco, accorso in Catalogna più come simbolo dell’unità nazionale che per sostenere il suo candidato. I sondaggi danno al Pp cinque miseri seggi, che dovrebbero andare a rafforzare le pretese di leadership della ciudadana Arrimadas.
Xavier Domènech. Ex professore dell’Università di Barcellona, animatore dei movimenti degli indignados di qualche anno fa, Domènech è l’uomo che, dopo un lunghissimo processo di selezione naturale, è stato nominato per guidare l’infinita serie di formazioni, movimenti, partitini e pulviscoli che fanno variamente capo a Podemos in Catalogna. E’ importante per la nostra storia perché potrebbe essere l’ago della bilancia di un governo non-indipendentista di sinistra, sempre che i movimentisti catalani riescano a mettersi d’accordo tra loro. La sua formazione, Catalunya en Comú, secondo i sondaggi prenderà almeno 10 seggi.
Manca Carles Puigdemont, ovviamente, ma lui non ha bisogno di un ritratto. Il suo il partito, Junts per Catalunya, potrebbe arrivare terzo o quarto con 20-25 seggi, e lui, da Bruxelles, per ora è più impegnato a rientrare in patria che a immaginare un programma elettorale. A chiudere il quadro c’è la Cup, il partito dell’ultrasinistra leninista indipendentista: 5-6 seggi secondo i sondaggi, pronti a essere offerti a chi metterà sul tavolo la scissione dall’odiata Spagna capitalista.