La ricetta (sbagliata) di Satya Nadella contro il populismo
Il ceo di Microsoft dice che in realtà è un problema della globalizzazione, che “ha portato molti vantaggi al mondo” ma al tempo stesso ha creato diseguaglianze
Roma. Facebook è nel bel mezzo di una crisi d’identità, con alcuni dei suoi più importanti ingegneri del passato che oggi dicono pubblicamente che si vergognano del mostro che hanno contribuito a costruire. Anche Twitter non se la passa bene, tra le difficoltà economiche e le accuse di essere diventato il veicolo della folle politica estera trumpiana. Non iniziamo nemmeno a parlare di Uber. Apple ha appena ammesso che rallenta segretamente le prestazioni dei vecchi iPhone (se il vostro iPhone 7 va più lento rispetto a quando l’avete comprato sei mesi fa non è un caso, Apple l’ha fatto apposta): loro dicono che la misura serve per proteggere i telefoni con le batterie consumate e alla fine allungare il loro ciclo di vita, ma molti sentono puzza di obsolescenza programmata. Insomma: il 2017 non è stato un buon anno per l’immagine pubblica Silicon Valley. Con un’eccezione: Microsoft e il suo ceo, Satya Nadella, questa settimana sono sulla copertina di Bloomberg Businessweek incensati come se fosse ancora il 2015.
Da un lato, il fatto che Microsoft abbia mancato il treno di internet vent’anni fa sta giocando a suo favore di questi tempi: la compagnia di Redmond è immune alle accuse di rendere misere le nostre vite con i social media perché non possiede social media. Dall’altro lato Nadella, uomo mite di origini indiane, è riuscito con successo a distanziare la sua figura da quella classica del tecnocrate senza scrupoli che domina nella Silicon Valley, tanto che su Businessweek si fa definire “chief empathy officer”, al posto di chief executive officer. Nadella ha appena pubblicato un nuovo libro intitolato “Hit Refresh: The Quest to Rediscover Microsoft’s Soul and Imagine a Better Future for Everyone”, in cui invoca per il mondo della tecnologia una riscoperta dei valori morali, e in particolar modo dell’empatia. Si definisce un “leader empatico”, e su Businessweek parla di come sta cambiando la cultura interna all’azienda, dice che non avrà pietà per nessuna forma di molestia sulle donne, racconta di come avere un figlio con gravi problemi di salute abbia cambiato la sua vita.
Businessweek attesta, perfino, che Nadella ha una “strategia contro il populismo”, ed è qui che iniziano i problemi, vale a dire quando anche Nadella si avventura sul terreno difficile dell’opinione politica in cui sono già caduti Mark Zuckerberg e altri. Nadella dice che il problema del populismo è in realtà un problema della globalizzazione, che “ha portato molti vantaggi al mondo” ma al tempo stesso ha creato diseguaglianze perfino all’interno degli Stati Uniti. Nadella non amplia il suo pensiero (e soprattutto non mantiene la promessa fatta da Businessweek e non disegna nessuna “strategia”), ma è facile capire che il ceo di Microsoft si rifà agli stilemi soliti della diseguaglianza economica generata dalla globalizzazione e portatrice di molti mali.
La retorica dell’autoassoluzione
E’ una visione opposta a quella, per dire, di uno Zuckerberg, per il quale il populismo non è altro che un accidente della storia, un raffreddore da ignorare finché non passa – forse Zuck ha cambiato idea dopo che negli ultimi anni Facebook è diventato uno dei principali vettori di contagio populista a livello mondiale. Le due visioni si attagliano bene al leader tecnocrate (Zuck) e a quello empatico (Nadella), ma hanno entrambe un problema: assolvono l’industria tecnologica da ogni colpa. Che si tratti il populismo come un sottoprodotto della globalizzazione o come un fenomeno passeggero di cui non curarsi, si rischia ugualmente di sottovalutare il pericolo che il populismo pone alle nostre democrazie. Facebook se n’è accorto a sue spese, e Microsoft?
Dalle piazze ai palazzi