Il metodo Blanquer e la rivoluzione della scuola francese
Più merito meno smartphone, e no alla scrittura inclusiva. I punti di riferimento del ministro dell’Istruzione della République
Parigi. Il filosofo libertario Michel Onfray, solitamente avaro di complimenti, ha detto che Jean-Michel Blanquer sta facendo “cose formidabili” da quando ha preso la guida del ministero dell’Éducation nationale. Alain Finkielkraut, intellettuale e accademico di Francia, ha dichiarato di essere affascinato da questo “conservatore rivoluzionario”. E persino Éric Zemmour, polemista del Figaro, fatica a nascondere il suo gradimento per la nomina fatta dal presidente francese, Emmanuel Macron, lo scorso maggio. Ma non sono solo loro gli unici nell’intellighenzia parigina ad avere un’opinione positiva di Blanquer, il nuovo inquilino di rue de Grenelle, che vuole rivoluzionare l’école républicaine “unendo il meglio della tradizione e il meglio della modernità”, innestando la disciplina della scuola di Jules Ferry nella nuova “start-up nation” macronista. Piace a tanti, infatti, il nuovo titolare dell’Istruzione, che della squadra guidata dal premier, Edouard Philippe, è il ministro più in mostra del momento.
La scorsa settimana, Blanquer ha annunciato che dall’anno scolastico 2018/2019, l’uso dei cellulari sarà vietato alle scuole elementari e alle scuole medie, non soltanto durante le ore di lezione, ma anche durante le pause. “I bambini non giocano più nelle pause, sono tutti di fronte ai loro smartphone e dal punto di vista educativo questo è un problema”, ha dichiarato Blanquer, prima di aggiungere: “Le famiglie devono capire che è una questione di salute pubblica. Stare troppo davanti allo schermo fa male ai bambini”. Questa era una promessa elettorale di Macron, così come quella di ripristinare le ore di greco e latino, che i suoi predecessori hanno eliminato: “I corsi di greco e latino saranno restaurati (...) E’ una questione di civiltà (...) Le nostre radici greco-latine strutturano il nostro linguaggio, e dunque la nostra vita”.
Sulla cosiddetta “scrittura inclusiva”, tentativo delle neofemministe di rendere neutro il francese cambiando le regole di concordanza, Blanquer ha detto che è “una pessima idea” che “rovina la nostra lingua”. Pessima tanto quanto la petizione di 314 insegnanti contrarie alla regola, a loro dire “sessista”, secondo cui “il maschile ha sempre la meglio sul femminile”. “C’è una sola lingua francese, una sola grammatica, una sola Repubblica”, ha risposto l’inquilino di rue de Grenelle alle paladine della “grammatica inclusiva”. E ancora: “La Francia ha come emblema una donna, Marianne, una delle sue parole più belle è femminile, République, e la nostra lingua da sempre conduce battaglie femministe”. Anche all’Académie française, santuario della lingua francese, c’è un clima più disteso tra gli Immortels, da quando Blanquer è entrato all’Istruzione. Il “pericolo mortale” della “scrittura inclusiva”, come lo avevano definito gli accademici, e altre battaglie puramente ideologiche sono state derubricate dall’agenda del ministro. La sua principale inquietudine è legata invece ai nefasti risultati delle classifiche internazionali Pisa (indagine sulle competenze in matematica) e Iea-Pirls (test sulle capacità di lettura e di comprensione dei testi), che relegano gli studenti francesi tra i 9 e i 10 anni agli ultimi posti in Europa. “Sono risultati preoccupanti”, ha detto il titolare dell’Istruzione, annunciando l’introduzione di un dettato al giorno e mettendo l’accento sull’importanza della scelta dei manuali scolastici: “I manuali non sono tutti uguali. Alcuni studi hanno certificato che alcuni sono più efficaci di altri”.
A Parigi, quella di Blanquer la chiamano “rivoluzione tranquilla”, anche se le sue misure e dichiarazioni, in totale rottura rispetto a chi lo ha preceduto, provocano molte reazioni scomposte a sinistra. Quando al Journal du dimanche ha detto che “l’egualitarismo è il vero nemico del servizio pubblico”, perché uccide il merito e provoca un livellamento verso il basso, i pedagoghi di ogni latitudine lo hanno accusato di tenere un discorso “di destra”, contrario alla tradizione della scuola francese. E quando, qualche giorno fa, si è detto favorevole all’uniforme scolastica, i giacobini gli hanno dato del retrogrado, difensore di una disciplina “vieille France”, ammuffita. Ma Blanquer fa come se niente fosse, e continua a difendere la sua visione della scuola, dove l’autorità e il culto laico del lavoro devono tornare al centro del sistema. Assieme alla difesa dei valori repubblicani. “Dobbiamo intervenire sul campo per impedire le violazioni del principio di laicità”, ha affermato il ministro dell’Éducaton nationale, presentando le “unités laïcité”: squadre di ispettori che si occuperanno di “prevenzione” negli istituti, per contrastare anzitutto le derive religiose. In questi primi sette mesi di mandato, Blanquer si è già guadagnato il soprannome di “Ctrl-Z”, in riferimento alla volontà di fare tabula rasa dell’ideologia egualitarista e del pedagogismo ludico difeso dagli ex ministri Vincent Peillon e Najat Vallaud-Belkacem. Quest’ultima, quando a maggio c’è stato il passaggio delle consegne, non ha nascosto il suo disappunto per la nomina all’Hotel de Rochechouart di questo giurista e alto funzionario venuto dal privato, che è stato direttore dell’Essec, una delle più importanti business school del mondo, e ha dichiarato di volersi “ispirare anche ai modelli stranieri” per trasformare la scuola francese.
A differenza della Belkacem, Blanquer non è un ideologo, e non è nemmeno quel tecnocrate algido che può sembrare al primo sguardo. Figlio di un’insegnante d’inglese e di un parigino innamorato del Sudamerica, è diplomato in filosofia e giurisprudenza, è appassionato di neuroscienze cognitive, e i cassetti del suo bureau, al ministero dell’Istruzione, traboccano di poesie scritte nei pochi momenti di pausa. Durante il suo percorso professionale ha scritto anche due libri che oggi suonano come un manifesto: “L’école de la vie. Pour que chacun puisse réussir” e “L’École de demain. Propositions pour une Éducation nationale rénouvée”. Per il filosofo Luc Ferry, Blanquer all’Istruzione “è il ritorno del buon senso”.