Un anchorman e un esperto ci spiegano come si può riformare la Rai francese
Per Macron France Télévisions è "una vergogna". Ma l'esecutivo sembra non avere ancora le idee chiare su come riformare il settore audiovisivo pubblico
Parigi. Nei corridoi di France Télévisions, la Rai francese, non è ancora stato digerito il commento presidenziale: in una riunione con i deputati della commissione cultura dell’Assemblea nazionale, Emmanuel Macron avrebbe detto che la tv pubblica è “la vergogna della République”. L’Eliseo ha formalmente smentito la frase assassina spifferata dal settimanale Express, il giornalista che ha raccolto le indiscrezioni conferma tutto, ma al di là delle versioni contrastanti, resta il fatto che quella sera Macron ha criticato severamente la governance del settore audiovisivo pubblico, sottolineando anzitutto la “mediocrità” dei programmi e gli “sprechi”. “Ha distrutto France Télé. Le accuse erano violente. Ogni frase era dura. Il malessere deve essere profondo per lasciarsi andare in questo modo”, ha sussurrato al Parisien uno dei presenti.
La riunione, durata più di un’ora, ruotava attorno all’adattamento della televisione pubblica al digitale, al rafforzamento delle sinergie tra i vari canali, alla produzione di contenuti più appetibili per le fasce più giovani, alla lotta contro le fake news. “A questo proposito, non è stato fatto il lavoro etico necessario”, ha detto l’inquilino dell’Eliseo. Tutto ciò prefigura la grande riforma del settore audiovisivo pubblico francese, sulla quale l’esecutivo, tuttavia, sembra non avere ancora le idee chiare. “A che gioco sta giocando Emmanuel Macron? Che cosa ha in mente per la televisione e la radio pubblica francese?”, sono le due domande che ossessionano i dipendenti del settore, scrive il Monde. Fino a due giorni fa, di concreto, c’era soltanto un documento di lavoro del ministero della Cultura intitolato “Bbc à la française”. La volontà, emersa dal documento, è quella di ispirarsi al servizio pubblico britannico, raggruppando le varie entità di stato, France Télévisions, Radio France e France Médias Monde, per facilitare l’interazione, ma anche per ridurre i costi. Ieri, durante una riunione al ministero della Cultura, alla quale hanno partecipato Delphine Ernotte (France Télévisions), Mathieu Gallet (Radio France), Laurent Vallet (Institut national de l’audiovisuel), Marie-Christine Saragosse (France Médias Monde) e Anne Durupty, rappresentante della direzione di Arte, la ministra della Cultura, Françoise Nyssen, ha annunciato “cinque cantieri prioritari” sui quali i dirigenti dovranno lavorare fino a fine gennaio 2018: la riconquista del pubblico giovanile, le cooperazioni internazionali, il miglioramento dell’offerta, una piattaforma comune online e nuove sinergie sulle risorse economiche.
Su quest’ultimo punto, in particolare, c’è un gran malcontento all’interno della televisione pubblica. Il governo ha chiesto una cura dimagrante di 50 milioni di euro alla patron di France Télévisions, che ha fatto urlare i sindacati, e che da molti osservatori è vista come una mossa per rendere più fragile la posizione della Ernotte. Si rincorrono in questi giorni le speculazioni attorno a un addio anticipato (il mandato scadrebbe nell’agosto del 2020) dell’alta dirigente che ha fatto carriera a France Télécom/Orange, prima di essere nominata al vertice della Rai francese. E si dice soprattutto che la Ernotte non stia affatto simpatica al presidente Macron, nonostante la volontà comune di creare un “Netflix europeo”, e nemmeno al suo fedelissimo segretario generale dell’Eliseo, Alexis Kohler, che è stato, tra le altre cose, membro del consiglio d’amministrazione di France Télévisions tra il 2010 e il 2012. “Il nuovo esecutivo ha una visione assai tecnocratica, e considera France Télévisions come un mammut”, ha detto al Monde un membro dell’ex maggioranza socialista. Kohler non vede l’ora di ridurre il più possibile il numero di dipendenti a tempo pieno (sono 18 mila) che lavorano per l’intero settore audiovisivo. Ma non vede l’ora di operare tagli anche ai vertici. “La frase sul settore audiovisivo ‘vergogna della République’ è probabilmente la condanna a morte della patron di France Télévisions”, dice al Foglio Frédéric Taddeï, uno dei volti catodici più noti Francia, animatore di trasmissioni cult come “Ce soir (ou jamais!), e oggi anche direttore del magazine maschile Lui, oltre che speaker radiofonico su Europe 1. Al Monde, qualche giorno fa, non si è tirato indietro quando si è trattato di dire quello che pensava sulla presidente della tv pubblica di Parigi: “France Télévisions è uno spreco. La sua presidente, Delphine Ernotte, non sa nulla di televisione e sta rovinando France Télévisions. Xavier Couture, che lavora al suo fianco, è costernato e cerca di farle capire alcune cose, ma a quanto pare è complicato. C’è una direzione che prende le persone per degli imbecilli e fa una televisione in funzione di questo criterio! Invece di immaginare un nuovo canale culturale sul web, i responsabili dovrebbero programmare delle trasmissioni culturali su France 2 e France 3 a un’ora decente”. Per Taddeï, inoltre, uno dei principali problemi che dovrebbero affrontare il presidente della Repubblica e la dirigenza di France Télévisions è l’assenza di pluralismo. “Oltro al crollo verticale della qualità dei programmi, c’è un incredibile conformismo nella televisione pubblica francese”, dice il giornalista di Europe 1, e aggiunge: “Dibattere, in Francia, è diventato difficile. Per capire come va il mondo, sono necessari i veri dibattiti, dove si possono ascoltare opinioni divergenti e capire perché le persone non sono d’accordo”.
Per Ivan Rioufol, editorialista del Figaro e habitué dei dibattiti televisivi, France Télévisions “ha troppi canali e produce troppo pochi talenti”. “La televisione pubblica – spiega Rioufol – deve essere riformata al più presto, raggruppando le varie entità e trovando altri modi di espressione, che attraggano maggiormente i giovani. Attualmente, il servizio pubblico costa molto, la qualità è piuttosto mediocre, e il pluralismo non è garantito. Tutto ciò, provoca una grande frustrazione negli spettatori”.
I conservatori inglesi