Una manifestazione degli unionisti a Barcellona. Foto LaPresse/EFE

Capodanno a Tabarnia

Paola Peduzzi

Barcellona e Tarragona creano una loro regione e sfidano i separatisti catalani: noi restiamo qui

Milano. Preparate le valigie, scegliete un look cosmopolita, a capodanno ci si vede tutti a Tabarnia, l’isola che non c’è dell’unionismo catalano, quel pezzo di terra della Catalogna che non vuole la secessione, che non vuole l’indipendentismo, che sta bene dov’è, e se proprio tutt’attorno gli altri ambiscono a un futuro di solitudine poco lussuosa, i tabarnés (o tabarnesa) chiedono di separarsi dalla Catalonia, e restare spagnoli, restare europei.

  

Tabarnia nasce come una boutade, un’operazione satirica e una petizione online, ma il 26 dicembre è diventata una delle parole più ricercate su Google: tra il troppo cibo e i troppi brindisi delle feste natalizie, Tabarnia sembra una via di fuga perfetta, una nuvoletta felice al riparo dai tormenti del secessionismo, ma è molto di più. E’ il frutto di una realtà che i nazionalisti pretendono di ignorare: non è vero che tutti i catalani vogliono l’indipendenza.

   

Tabarnia, che rappresenta la regione di Barcellona e Tarragona, e ha già una sua bandiera (contaminazione tra gli stendardi delle due città), nasce dalla piattaforma “Barcellona non è la Catalogna”, che fa il verso allo slogan indipendentista “la Catalogna non è la Spagna”: riunisce molti gruppi unionisti e opera un po’ come Londra nei confronti della Brexit, un centro prospero, aperto ed europeista che vede con orrore il nazionalismo indipendentismo. La secessione “è profondamente negativa per gli interessi della Catalogna – sostengono gli abitanti di Tabaria – e per la città di Barcellona in particolare”. Alle elezioni del 21 dicembre, gli indipendentisti hanno ottenuto una maggioranza (risicata) di 70 seggi su 135, ma i tabarnés denunciano, nella loro petizione, il fatto che nella distribuzione dei seggi pesano più le aree rurali dell’interno della Catalogna rispetto alle città sulla costa. “Il nostro voto vale tre o quattro volte meno di quello dato a Lérida e Girona”, due città che hanno contribuito grandemente alla creazione della maggioranza secessionista. C’è uno schemino che circola tantissimo: a Barcellona, 48.521 voti valgono un seggio; a Tarragona, 31.317 voti valgono un seggio; a Girona 30.048 voti valgono un seggio; a Lérida 20.915 voti valgono un seggio. Morale: “Se i voti dei catalani avessero tutti lo stesso peso, il separatismo sarebbe minoranza in Parlamento”. Sui social, lo scontro è diventato tra i sostenitori di Tabarnia e la “Tractoria”, il regno dei trattori, le zone rurali che hanno un peso specifico maggiore nel sistema elettorale e che alimentano la causa secessionista. La frattura coste/zone rurali all’interno non riguarda, come si sa, soltanto la Catalogna, ancora una volta ci ricorda cosa è avvenuto con la Brexit, con la differenza che lì gli isolazionisti hanno ottenuto la maggioranza assoluta, 52 per cento dei consensi, non un risultato bulgaro, ma sufficiente per renderci dipendenti dalla volontà-popolare-degli-inglesi. Tabarnia risponde a ogni istanza indipendentista utilizzando lo stesso linguaggio e le stesse argomentazioni al contrario, e il fatto che funzionino pure ribaltate è la rappresentazione esatta di quel 47,5 per cento di consensi che i catalanisti hanno ottenuto alle elezioni della scorsa settimana: non ci sarà stata la tanto attesa maggioranza silenziosa unionista, ma gli indipendentisti non sono nemmeno il 50 per cento dei catalani.

   

I tabarnés dicono che Barcellona e Tarragona soffrono un “deficit fiscale” rispetto al resto della regione, chiaro riferimento ai separatisti che sostengono che la Catalogna, una delle regioni più ricche di Spagna, paga più tasse al governo centrale di quante ne riceva in investimenti. Il rapporto tra Tabarnia e la Catalogna è lo stesso, “questa è la zona industriale, del turismo, bilingue e contraria alla separazione”. I tabarnés rivendicano anche “il diritto di decidere se vogliamo creare una nuova regione spagnola che ci isola dalla minaccia separatista” e sottolineano che l’area di Madrid, che una volta era parte della regione di Castiglia, “è oggi uno dei motori della Spagna”.

   

Albert Rivera, leader di Ciudadanos, il primo partito alle elezioni catalane, ha commentato su Twitter: “Se i nazionalisti possono invocare un diritto inesistente a dividersi, chiunque può farlo”. A chi protesta contro Tabarnia i tabarnés replicano: “chiediamo esattamente quello che chiedete voi!”. O magari utilizzano gli stessi termini che i catalanisti usano contro gli spagnoli, “fascisti, oppressori, è il popolo che decide”. L’indipendentismo è un cortocircuito, rischiamo tutti di prendere la scossa, ma la valigia è pronta, festeggiamo insieme l’inizio del 2018, a Tabarnia.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi