Il Washington Post di Bezos galoppa, ma il New York Times è un miraggio (ringraziare Trump)
Sotto la guida del proprietario di Amazon l’appannato quotidiano della capitale è tornato a scintillare. Il santino di Spielberg e un settore in cerca di profitto
New York. Il blockbuster di Steven Spielberg sul Washington Post che mette in scena la santificazione di Ben Bradlee e Katherine Graham, i quali eroicamente si scagliano contro il palazzo pubblicando i Pentagon Papers, è il racconto perfetto per Jeff Bezos, l’editore del Post che sogna di diventare per Donald Trump ciò che la famiglia Graham è stata per Nixon. Sotto la guida del proprietario di Amazon l’appannato quotidiano della capitale è tornato a scintillare. Nell’ultimo anno ha assunto oltre cento giornalisti, esteso a dismisura le operazioni digitali, ha vinto un Pulitzer con David Fahrenthold, il cronista che sui suoi famosi taccuini ha verificato tutte le donazioni di Trump a opere di carità, scoprendo che il magnate prometteva molto e scuciva pochissimo, ha prodotto alcuni fra i più esplosivi scoop dell’anno che si sta per chiudere. E’ stato il Post a scoprire i trascorsi del candidato repubblicano al Senato in Alabama, Roy Moore, che quando era sulla trentina adescava ragazze minorenni. Un cronista è inciampato quasi per caso su queste vecchie vicende, e quasi è il termine decisivo: senza la decisione del giornale di mandare un ampio team di giornalisti a coprire palmo a palmo il terreno elettorale dell’Alabama, non si sarebbero mai imbattuti negli episodi che hanno poi determinato la clamorosa sconfitta di Moore. Gli anglosassoni la chiamano serendipity.
Sotto l’altisonante motto “democracy dies in darkness”, il Washington Post si è rimesso in luce, è tornato al centro della conversazione dopo gli anni del declino e qualcuno sostiene che per una parte della classe dirigente è diventato il primo quotidiano. Gli uomini di Bezos hanno lavorato molto per promuovere i contenuti anche al di fuori degli Stati Uniti, con buoni risultati. Qualche mese fa il giornale ha superato la soglia psicologica e commerciale del milione di abbonati digitali. Il Post ha abbracciato la logica amazoniana dei margini bassi, e l’alleanza con la casa madre permette di offrire agli abbonati Prime prezzi irrisori. Le fonti vicine al riservatissimo Bezos – il quale non è tenuto a pubblicare i conti dell’azienda, che non è quotata – dicono che che nell’ultimo anno il Post ha superato i 100 milioni di dollari di pubblicità raccolta e dal 2016 l’azienda è in attivo. Il dramma atavico, tuttavia, permane, ed è quello dell’impossibile competizione con il New York Times, che con i suoi 2,5 milioni di abbonati e 154 milioni di ricavi pubblicitari digitali nell’ultimo anno continua a giocare in un altro campionato.
La storia non si ripete ma i suoi versi fanno rima, come diceva Mark Twain, e se quarant’anni fa la gloria del Post veniva da un osso mollato dai mastini del Times, oggi la gara ad accerchiare Trump è la grande corsa all’oro, e il Times sta di nuovo vincendo.
E’ un giornalista del Times che incontra casualmente – si fa per dire – il presidente in uno dei suoi campi da golf a West Palm Beach, senza uomini del suo staff, e ottiene mezz’ora di intervista senza notizie di rilievo ma che risucchia l’intero ciclo delle notizie ancora rallentato dal pranzo di Natale. Per ricordare al Post, ubriaco della sua glorificazione cinematografica, chi comanda, il Times ha pubblicato una pagina pubblicitaria della raccolta che ha ispirato Spielberg. Titolo della pagina: “I Pentagon Papers pubblicati dal New York Times”. Con un tocco di crudele ironia, hanno scelto un virgolettato del Washington Post per celebrare “il più importante leak della storia americana”. Manca tanto così dall’accusa di produrre fake news. Il Washingotn Post sta attraversando un momento di grande spolvero dopo gli anni bui e quelli della rifondazione, quando Bezos andava in giro per il mondo a dire che credeva nella possibilità dei media di tornare a fare profitti, ma la signora in grigio a sua volta ha allungato il passo, riconfermandosi ancora una volta il giornale dei record. Entrambi devono ringraziare il più grande agente commerciale in circolazione, l’uomo capace di ridare linfa vitale a un settore moribondo: Donald Trump.