E ora Macron andrà a Teheran?
I morti in Iran pesano sul grande tentativo di approccio di Parigi
Parigi. Se le manifestazioni degli ultimi giorni non degenereranno, venerdì 6 gennaio il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian andrà a Teheran per preparare il terreno alla visita ufficiale di Emmanuel Macron, prevista nei prossimi mesi. Sarebbe il primo presidente francese a entrare in Iran dal 1976, quando Valéry Giscard d’Estaing incontrò a Teheran lo shah Reza Pahlavi. Il paese si chiamava Persia, e non c’era stata ancora la rivoluzione islamica. La visita di Le Drian arriva in un momento di grande difficoltà nelle relazioni tra i due paesi. Dopo l’elezione di Emmanuel Macron, che aveva lasciato intendere di voler abbandonare la linea molto dura nei confronti di Teheran tenuta dalla diplomazia francese negli ultimi anni, si pensava che Parigi sarebbe stata l’avanguardia di un nuovo rapporto europeo con il paese sciita. In questo senso gli accordi miliardari tra grandi aziende come Total e Renault e gruppi iraniani costituivano un segnale importante. Tuttavia, l’aggravarsi della crisi tra Iran e Arabia Saudita e il ruolo giocato nella crisi libanese dal presidente avevano riportato la Francia al fianco del mondo sunnita. Le proteste di queste ore complicano la situazione: il viaggio doveva essere un segnale di distensione, ma per Macron potrebbe essere molto difficile spiegare una foto con Hassan Rohani a Teheran dopo lunghe manifestazioni di piazza e 12 morti.
Il governo francese non ha commentato quanto accaduto, ma è ancora possibile immaginare la visita di Le Drian, malgrado le manifestazioni che sembrano continuare e addirittura ampliarsi?
I francesi restano grandi sponsor del deal sul nucleare, ma non intendono cedere su tutti gli altri dossier, in particolare sul ruolo dell’Iran nella regione e sul suo programma missilistico convenzionale, che giudicano ambiguo e oltremodo pericoloso per la stabilità. Parigi ha più volte spiegato che controllerà da vicino le ricerche iraniane, e lo stesso Macron ha giudicato, lo scorso novembre, “necessario, come è stato fatto nel 2015 per inquadrare meglio l’attività nucleare, inquadrare meglio l’attività balistica iraniana e aprire un processo, con delle sanzioni se sarà necessario, che permetterà di farlo”. “Sulle questioni di difesa non domandiamo il permesso a nessuno. Chi è Macron per occuparsi di questi affari?”, aveva subito risposto Ali Akbar Velayati, consigliere della guida suprema Ali Khamenei. A ciò si aggiunge il sentimento anti-iraniano molto presente al ministero degli Esteri francese: “Gli alti funzionari del Quai d’Orsay (sede del ministero degli Esteri) sono, se non ostili, quantomeno molto diffidenti nei confronti dell’Iran”, spiega al Foglio una fonte diplomatica francese, “è un retaggio culturale che viene dagli anni Ottanta, ma che pesa molto nell’applicazione pratica delle relazioni tra i due paesi”. La direction des affaires stratégiques, de sécurité et du désarmement, una delle direzioni del ministero degli Affari esteri incaricata dei rapporti con Teheran, “conduce una politica molto allineata a quella della Nato e degli Stati Uniti. Questa direzione, al cuore dei negoziati sul nucleare, era tra le delegazioni europee più dure e diffidenti verso l’Iran”.
Esiste una sostanziale differenza di vedute tra l’Unione europea e la Francia. Federica Mogherini ha sempre evitato di utilizzare espressioni poco amichevoli nei confronti di Teheran. Jean Yves Le Drian, al contrario, non è mai stato tenero: “Le azioni dell’Iran ci preoccupano. Penso in particolare agli interventi nelle crisi regionali, frutto di una tentazione egemonica, oltre al programma balistico”, aveva detto a novembre, durante una sua visita in Arabia Saudita. Le Drian ha sempre parlato dei sauditi come degli “alleati”, non utilizzando mai la stessa espressione nei confronti degli iraniani. Macron, dal canto suo, ha tenuto un discorso meno aggressivo durante i primi mesi di mandato: “Ci sono alcuni che vorrebbero vedere i paesi occidentali sostenere soltanto una parte tra sciiti e sunniti. Ma noi rifiutiamo questo approccio, il ruolo della Francia è parlare con chiunque”, diceva soltanto a inizio novembre, salvo poi cambiare tono il 29 novembre, a margine del summit di Abidjan, in Costa d’Avorio: “L’Iran non è un partner, ma soltanto un paese con cui abbiamo relazioni per l’accordo sul nucleare”. Secondo la fonte diplomatica, il doppio discorso è voluto: “E’ una caratteristica tradizionale della diplomazia francese, permette di tenere tutte le opzioni aperte ed evitare di restare chiusi in un angolo”.
L’Iran non ha gradito in particolare le parole del presidente francese sul missile, partito dallo Yemen, intercettato all’altezza della periferia di Riad il 4 novembre scorso. L’attacco era stato rivendicato dai ribelli Houthi, sostenuti indirettamente dall’Iran, e Macron aveva attribuito “manifestamente” la fabbricazione del missile agli iraniani, circostanza smentita da Teheran, che da settimane accusa i francesi di avere scelto i sauditi nella contesa regionale. I rapporti non sono aiutati dall’atteggiamento degli alleati della Francia: “Ultimamente il contenuto delle conversazioni private tra Donald Trump e Macron, così come tra il re Salman e Macron, è stato reso pubblico prima che questo venisse concordato con Parigi, come di solito è prassi. E il contenuto ha irritato gli iraniani”, continua la nostra fonte. Ci spiega, tra le altre cose, che gli iraniani non hanno un atteggiamento conciliante a prescindere da parecchio tempo, e cercano di intralciare, per quanto possibile, il lavoro dei francesi nel paese: il direttore dell’Institut français de recherche en Iran attende di poter occupare il suo posto da più di un anno perché il visto gli viene negato senza alcuna ragione precisa. Stessa sorte per il direttore del Centre de langue française de Teheran, l’altro strumento fondamentale per la politica estera. Il governo francese non ha reso dichiarazioni ufficiali in materia, ma è probabile che anche di questo discuterà Jean Yves Le Drian, venerdì. Ammesso che parta.