L'apertura tra Corea del nord e Corea del Sud è una cosa seria, altro che bottoni
Ciò che si evince dalle notizie ufficiali è che – per ora – la questione nordcoreana è stata derubricata da minaccia per la Difesa globale a questione diplomatica
Roma. Alle tre e trenta del pomeriggio di ieri (le sette e mezzo di mattina in Italia) è arrivata la prima telefonata da parte dell’ufficiale tecnico del lato nordcoreano di Panmunjeom, il “villaggio della tregua” sul 38° parallelo. La conversazione tra ufficiali della Corea del nord e della Corea del sud è andata avanti una ventina di minuti, durante i quali sono stati testati telefoni e fax della cosiddetta “hotline”, il sistema di comunicazione prioritario tra i due paesi. La linea di dialogo era stata sospesa nel febbraio del 2016, e a tempo indeterminato, quando l’allora governo di Seul, guidato dall’ex presidente ora in carcere Park Geun-hye, aveva chiuso definitivamente la zona industriale congiunta di Kaesong. Fino ad allora, ogni giorno i funzionari del Nord e del Sud si sentivano due volte al giorno, una consuetudine che ora dovrebbe ricominciare. Sempre ieri Ri Son-gwon, capo del comitato nordcoreano per la Riunificazione pacifica (l’omologo del ministro dell’Unificazione sudcoreano), è andato in televisione a spiegare la decisione di tendere una mano al Sud, annunciata durante il discorso di Capodanno dal Kim Jong-un: abbiamo riattivato i canali di comunicazione anche “per discutere” l’invio di una delegazione alle Olimpiadi invernali di PyeongChang, che si apriranno il 9 febbraio prossimo.
E’ il primo grande successo dell’Amministrazione del presidente sudcoreano Moon Jae-in. Eletto nel maggio scorso, Moon è un sostenitore della Sunshine Policy, iniziata negli anni Duemila dal premio Nobel per la pace ed ex presidente Kim Dae-jung. In pratica, secondo Moon, la questione nordcoreana è una questione della penisola, e deve essere risolta tra i due paesi, ancora tecnicamente in stato di guerra dopo l’armistizio firmato nel 1953. Non solo: secondo la dottrina Moon (espressa durante un famoso discorso del giugno scorso, a Berlino) non ci può essere una “risoluzione” del problema senza un dialogo diretto, senza una collaborazione. In questo senso, la chiusura quasi due anni fa del complesso industriale di Kaesong fu una decisione unilaterale da parte del Sud, per aumentare l’isolamento del regime di Pyongyang. Fino a oggi, però, a seguito del fallimento della “pazienza strategica” americana che ha permesso alla Corea del nord di dotarsi di armi missilistiche e nucleari, la linea che ha vinto è quella dell’isolamento, promossa dal Giappone di Shinzo Abe e dall’America di Donald Trump, che per motivi diversi preferiscono una Corea del nord chiusa su se stessa e che “rappresenta una minaccia globale”.
A parte la discussione sui bottoni nucleari – metafora del potere – e a prescindere da come sarà e se ci sarà la Corea del nord alle Olimpiadi invernali, ciò che si evince dalle notizie ufficiali degli ultimi giorni è che – per ora – la questione nordcoreana è stata derubricata da minaccia per la Difesa globale a questione diplomatica. Kim Jong-un è riuscito a mettere all’angolo sia Trump, che non sa più come gestire il Pacifico se non militarizzandolo, sia il primo ministro Abe, che sulla pericolosità della Corea del nord basa la strategia per la riforma costituzionale dell’articolo 9. Se le cose dovessero mettersi male tra Washington e Seul, Trump non farebbe che spingere Moon e la Corea del sud verso il presidente cinese Xi Jinping.