I campioni industriali francesi sono ottimisti, e fanno correre l'economia
La fiducia è alta, la salute delle grandi aziende è un altro segnale dell’effetto Macron, scrive il Financial Times
Parigi. La Francia di Emmanuel Macron continua a beneficiare di un ottimo contesto economico e fa registrare un altro importante segnale per la salute della sua economia. Secondo quanto riporta il Financial Times, l’anno scorso il valore degli accordi tra le imprese ha raggiunto il massimo dal 2007, 209,1 miliardi di euro. L’indicatore complessivo sui deal, scrive il quotidiano finanziario londinese, dà la misura della fiducia degli investitori, che percepiscono il paese come adatto a fare affari in questo momento anche grazie alla riforma del lavoro, portata a termine in poco tempo e senza grandi proteste di piazza; un dato in particolare segnala il buono stato delle grandi compagnie: i dieci maggiori accordi siglati vedono i francesi come compratori. Un segnale importante per il sistema. “In Francia le grandi aziende sono solide, e quindi comprano. Possono farlo anche perché possiedono un supporto politico che i competitori spesso non possono vantare – spiega al Foglio Andrea Garnero, economista dell’Ocse e consigliere del governo francese – per essere portati a termine i grandi accordi non necessitano soltanto di buone performance economiche, che chiaramente contano, ma anche di una struttura industriale generale che ispira fiducia. E in un contesto come quello francese, il ruolo dello stato è rilevante, e i ‘grandi campioni’ ne beneficiano”.
In questo, continua Garnero, la situazione è leggermente diversa rispetto all’Italia o alla Germania, dove il peso delle piccole medie imprese è maggiore, e il ruolo delle grandi multinazionali di bandiera minore. “E’ comprensibile che lo stato si attivi, e se vogliamo questo è indipendente da Macron: è il sistema che conta. A seconda della grandezza dell’affare interviene l’Eliseo o il ministro dell’Economia, alcune decisioni sono prese di concerto con la politica”. La stabilità istituzionale, dunque, è determinante. Il fatto che gli investitori possano contare su un governo in carica per cinque anni, con una figura istituzionale garante di stabilità come quella del presidente della Repubblica, aumenta la fiducia delle imprese. L’elezione di Emmanuel Macron è spesso citata come un fatto chiave della ripresa.
Chiediamo se sono giuste tutte queste aspettative, o se i mercati e parte della stampa economica esagerino: “Esiste secondo me un effetto rimbalzo – risponde l’economista – L’euforia dei mercati è dovuta, in parte, al fatto che ci si aspettava una mezza catastrofe. Nelle migliore delle ipotesi un governo grigio guidato da politici vecchio stampo come Alain Juppé o François Fillon, nella peggiore la presa del potere da parte del Front national. Macron beneficia anche di un sentimento di ‘pericolo scampato’”. Garnero sottolinea che la coerenza del messaggio del Macron candidato con le prime azioni del Macron presidente ha contribuito all’alto gradimento della Francia negli ambienti economici: “Il mondo in questo momento sta andando verso la chiusura. So che non sono concetti nuovi, però è importante ricordarlo per avere in mente il contesto più ampio. La Francia, con un presidente che ha basato la sua campagna elettorale sul messaggio opposto, ha parlato di apertura, di Europa ed economia più competitiva, ha comprensibilmente attirato l’attenzione. Se poi una volta al potere, il presidente ha subito agito di conseguenza, capiamo che è stato facile costruire l’immagine di stato che si vuole più ‘business friendly’. Per vedere se ha funzionato concretamente bisogna attendere un po’. E il lavoro da fare rimane ancora molto”.
L’economia nel 2017 è cresciuta al di sopra delle aspettative: l’Insee (l’Istat francese) e il governo avevano calcolato il budget su una previsione di crescita dell’1,7 per cento, ma il pil ha superato l’1,9 per cento. In termini pratici, questo vuol dire almeno due miliardi disponibili in più. La legge finanziaria approvata nel 2017 è chiara: se le risorse in più sono dovute a ragioni congiunturali, andranno interamente utilizzate per ripianare il debito; se sono dovute a ragioni strutturali, per metà serviranno a pagare il debito, per metà a finanziare investimenti o abbassare le tasse. Niente redistribuzione. “Non esiste un ‘tesoretto’ quando il tuo debito aumenta da quarant’anni” ha detto il primo ministro, Édouard Philippe, in un’intervista al Journal du Dimanche. “Il segnale è interessante – nota Garnero – perché finora non c’è stato ancora un vero e proprio aggiustamento di bilancio. Questo atteggiamento dà credibilità all’azione di governo nei confronti di Bruxelles, visto che la Francia sfora da anni i parametri di Maastricht. E’ anche un messaggio anti austerity, se vogliamo: il debito si riduce con la crescita. Non nel senso che crescere di più ti consente di spendere di più, ma che crescere di più ti consente di abbattere il passivo”.
Nel 2018, secondo quanto emerge dai primi orientamenti del governo, la Francia dovrebbe iniziare a vendere parte delle proprie partecipazioni statali. Il quotidiano britannico cita, in particolare, Engie, una delle maggiori compagnie di gas al mondo, e della quale lo stato possiede circa un quarto delle quote e Française des Jeux, l’azienda che detiene il monopolio delle scommesse e della quale lo stato possiede circa il 72 per cento delle quote. Vendere in un momento di forte crescita è un’ottima idea, spiega Garnero: “Il segreto è non avere fretta. La dismissione di aziende controllate dallo stato non segue soltanto criteri economici, ovviamente, ma anche di efficienza del sistema. Il fatto che si decida di procedere in un momento dove la crescita è sostenuta aiuta a non essere preda della necessità di fare cassa”.
Il Financial Times esprime anche qualche riserva. La situazione globale è positiva, certo, ma la Francia ha ancora un grande problema di debito privato oltre che pubblico. François Villeroy de Galhau, presidente della Banque de France, ha spiegato al quotidiano che i livelli di indebitamento delle grandi compagnie sono troppo elevati, e ha chiesto, attraverso il Consiglio per la stabilità finanziaria guidato dal ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, alle autorità europee il permesso di imporre misure che limitino l’esposizione delle banche verso le compagnie più indebitate: “Se i rischi ciclici rimangono, potrebbe essere necessario prendere altre azioni macropreventive nei prossimi mesi”, ha detto.