Theresa May con alcuni membri del partito conservatore britannico davanti a Downing Street (foto LaPresse)

I millennial salveranno il Regno Unito

Paola Peduzzi

Il rimpasto goffo, il gatto fuori dalla porta e i giovani con in mano la Brexit

Theresa May, premier britannica, vuole cancellare i fantasmi del 2017, dice che ha imparato la lezione – la perdita della maggioranza parlamentare al voto anticipato del giugno scorso che nasceva come una dimostrazione di forza – e che il 2018 sarà tutto diverso, meno improvvisato, più ragionato, più ottimista, più giovane. L’ultimo investimento della May è sulla cosiddetta “talent pipe”, quel meccanismo virtuoso che permette agli astri nascenti della politica di responsabilizzarsi e di accumulare esperienza per poi affiancare e infine sostituire la leadership esistente. Qualcuno ironizza che questa “pipe” è ostruita da tempo: l’ex premier David Cameron ne parlava già nel 2010, quando iniziò il suo primo mandato, eppure oggi il Regno Unito mostra molte debolezze nella sua classe dirigente. La Brexit, si sa, ha spazzato via tante cose, molte carriere soprattutto, ma ora, con qualche ritardo di troppo, il governo vuole provare ad attrezzarsi.

 

Il rimpasto di ieri era pensato per dare un senso a questo nuovo spirito, dimentichiamoci gli spettri dello scorso anno, e vediamo in questo 2018 di lavorare con un obiettivo, che è quello della Brexit ma non solo: come dicono allarmati molti esperti, se tutte le risorse del Regno vengono prosciugate dal negoziato per l’uscita dall’Ue, che paese ci ritroveremo poi? Purtroppo però le buone intenzioni della May, laddove ci sono, sono spesso travolte dalla realtà, e lo spettacolo del rimpasto più che dissipare i fantasmi ne ha creati di nuovi. Il via vai a Downing Street è stato fitto, come vuole il rito brutale della politica inglese: la May ha deciso di chiamare tutti i ministri, licenziati e non, e i cronisti si sono ridotti tutto il giorno a commentare espressioni, a calcolare i minuti in cui i ministri restavano rinchiusi nel palazzo, a ritwittare la foto del gatto Larry che ha pensato bene di mettersi in posa di fronte alla celebre porta. C’è stato anche un errore del governo su Twitter, un nome sbagliato lanciato come nuovo presidente del Partito conservatore, il tweet cancellato, un refuso nella correzione, insomma un concentrato di goffaggine come ne abbiamo già visti, abbastanza per dire che questo 2018 assomiglia tantissimo al 2017. Il rimpasto poi è avvenuto, senza enormi scossoni, come era previsto, perché la “talent pipe” funziona dal basso verso l’alto – quando funziona.

 

A parte la Giustizia e la Sanità, tutti gli occhi sono puntati sul dipartimento per la Brexit (DexEu), che è il luogo in cui si definiranno i contorni della relazione che il Regno Unito avrà con il resto dell’Unione europea. David Davis, il titolare del dicastero, è rimasto al suo posto, ma di recente alcuni commentatori hanno sottolineato alcune caratteristiche particolari di questo ministero. La più interessante riguarda l’età: 31 anni di media, con l’83 per cento dei funzionari sotto i 40 anni. E’ la Brexit dei millennial, insomma. Dal 2010 a oggi, l’età media di un civil servant si è alzata da 44 a 46 anni, tranne che al DexEu dove non c’è nessun impiegato permanente (sono circa 600) che abbia più di 50 anni, fatta eccezione per i ruoli al top. Il problema però è che il ritmo del turn over è molto alto, perché spesso si tratta di lavori a tempo determinato e perché il bacino da cui si pesca è quello post universitario, in cui si cambia lavoro con maggiore frequenza. L’assenza di continuità rischia di essere un problema, hanno detto al Times alcuni addetti ai lavori, soprattutto nel 2018, quando le linee generali della Brexit saranno definite, e pure se la storia del dipartimento è brevissima, è già sufficientemente confusa. I “brexitologi” però sono quasi per loro natura giovani: è un lavoro in cui si parte da zero, e i dossier da studiare sono molti – decine e decine di trattati da rinegoziare. Con un paradosso finale, che fa innervosire i già alterati brexiteers che accusano le università e i professori di essere remainers nostalgici: la Brexit potrà forse ridurre la disoccupazione giovanile (ironia), ma i funzionari che gestiranno la dipartita del paese dall’Ue, i millennial, sono i più europeisti del Regno.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi