Addio Breitbart. Così Bannon ha perso la sfida con il clan Trump

L'ex consigliere del presidente ha annunciato le dimissioni dal ruolo di executive chairman che ricopriva dal 2012. Ecco perché la sua è soprattutto una sconfitta ideologica

Umiliato con tanto di nomignolo (“sloppy Steve”) da Donald Trump, scaricato dalla famiglia Mercer, reso piccino dal buco nell’acqua elettorale in Alabama, bocciato nel progetto di trasformarsi nell’aiuto esterno del presidente e messo sulla graticola da un giornalista, Michael Wolff, che spartisce molto con la corte trumpiana che velenosamente motteggia, alla fine Steve Bannon ha perso anche il feudo di Breitbart. Il consigliere più romanzato di questa criptica fase politica non ha più un orecchio nel quale sussurrare.

 

Ieri ha annunciato le dimissioni dal ruolo di executive chairman che ricopriva dal 2012 con una dichiarazione senza accenno di spiegazioni: “Sono fiero di quello che il team di Breitbart ha ottenuto in un periodo così breve, costruendo una piattaforma giornalistica di primo livello”. Bannon ha perso la sfida con il clan di Trump e con la storia. Il presidente non gli ha perdonato le dichiarazioni a proposito dell’incontro “treasonous” combinato dal figlio Don Jr. con certi emissari russi alla Trump Tower e nelle disastrose elezioni in Alabama ha avuto la prova che la trovata dell’avanguardia bannoniana che guida la carica del trumpismo fuori dalla palude di Washington era un pessimo affare.

 

La base, forza costantemente invocata per giustificare l’esistenza di imbonitori al seguito del presidente, ha scelto di stare con Trump, e così hanno scelto anche i Mercer, che due mesi fa hanno dato un segnale chiaro a Bannon e dopo l’uscita di “Fire and Fury” hanno affondato la lama nel corpaccione esausto di questo “nazionalista economico” e cacciatore di globalisti allevato a Goldman Sachs e nato con la doppia camicia. Che l’annuncio della sua ultima diminutio sia arrivato nel giorno in cui Trump ha detto che andrà al World Economic Forum di Davos ha l’aria di una grande beffa ideologica per Bannon. Nel dibattito interno alla Casa Bianca la frangia nazionalista sta uscendo malconcia, la coppia Kelly-McMaster ha dato un po’ di ordine e struttura alle operazioni, la riforma fiscale d’impronta reaganiana ha rinvigorito i rapporti con i leader repubblicani al Congresso, il presidente negozia sull’immigrazione, mostra il suo lato pragmatico e teme maledettamente di perdere la maggioranza alle elezioni di midterm, quelle in cui Bannon aveva promesso una lotta senza quartiere a tutti i candidati dell’establishment.

 

Se si ignora per un po’ Twitter, il volto ideologico che emerge dalle operazioni della Casa Bianca è più simile a quello di un repubblicano tradizionale che a quello di Bannon. Non è un caso, poi, che il suo tramonto coincida con l’allineamento dei pianeti di Murdoch e Trump. Il magnate australiano da mesi sta rimodellando in senso trumpiano il messaggio che viene non solo da Fox News ma anche dal Wall Street Journal. In confronto all’impero di Newscorp, Breitbart è un pesce minuscolo, ma l’idea che potesse farsi portavoce esclusivo del brand nazionalista di un presidente che, alla prova dei fatti, è invece capace di scelte di buonsenso conservatore, gli dava il mal di pancia. Allo Squalo non piace avere altri predatori intorno. Ieri la dichiarazione ufficiale più voluttuosa è stata quella di Fox News: “Fox non assumerà Steve Bannon”.