Sul budget Ue Macron è disposto a sacrificare la vacca sacra della Pac
L'Ue ribolle per quello che potrebbe diventare il negoziato più divisivo dei prossimi due anni. Il quadro di bilancio pluriennale si troverà con un buco di 12-13 miliardi l’anno dopo il 31 dicembre del 2020, quando il Regno Unito uscirà
Bruxelles. Questa settimana l’Unione europea ha iniziato a ribollire per quello che rischia di diventare il negoziato più divisivo dei prossimi due anni: il quadro di bilancio pluriennale dell’Ue, che si troverà con un buco di 12-13 miliardi l’anno dopo il 31 dicembre del 2020, quando il Regno Unito sarà uscito dal club e avrà esaurito il periodo transitorio post Brexit. “Penso che l’Europa valga di più di una tazzina di caffè al giorno”, ha detto lunedì il presidente della commissione, Jean-Claude Juncker, aprendo una conferenza che ha dato formalmente avvio al dibattito su come finanziare l’Ue dopo il 2020.
Una tazzina di caffè al giorno è quanto paga in media ciascun cittadino, ottenendone in cambio soldi per gli agricoltori (troppi), risorse per far convergere le regioni più povere verso i livelli di reddito di quelle più ricche (tanti), finanziamenti per l’innovazione, la ricerca e le infrastrutture (mai abbastanza), aiuti allo sviluppo e umanitari (pochi), denari per gestire i fenomeni migratori (robetta), fondi per la Difesa (una miseria), erogazioni per gli studenti Erasmus (bruscolini). Nel 2018 l’Ue ha previsto spese effettive per 144,7 miliardi. Con la Brexit scomparirà quasi un decimo di queste risorse, mentre si invoca più Europa per immigrazione, investimenti, difesa, incendi o stabilizzazione della zona euro. Lo status quo è insostenibile. Le capitali hanno di fronte quattro scenari difficili: o i contributori netti (Germania, Francia, Italia, Olanda, Svezia, Belgio) mettono mano al portafoglio; o gli stati membri decidono tagli profondi riducendo il ruolo dell’Ue; o le capitali aumentano le “risorse proprie” con nuove tasse a carico di cittadini e imprese; oppure fanno la rivoluzione del bilancio abbandonando le priorità tradizionali come l’Agricoltura (Pac) e la Coesione (i fondi strutturali) per far entrare l’Ue nel XXI secolo. “Il negoziato sul bilancio pluriennale è esistenziale quanto quello sul futuro della zona euro”, spiega al Foglio una fonte comunitaria: “Gli stati membri devono decidere cosa sarà e farà l’Ue dopo il 2020”.
Juncker vorrebbe mescolare i quattro scenari: togliere il tetto dell’1 per cento del reddito nazionale lordo (la tazzina di caffè pro capite), effettuare un po’ di tagli, aumentare le risorse proprie, spostare un po’ di soldi tra varie poste e introdurre più flessibilità per gestire emergenze come quella migratoria. Ma la commissione non vuole rimettere in discussione Pac e Coesione, che valgono circa i due terzi del bilancio. “Sono le vacche sacre che permettono agli stati membri di sapere in anticipo quanto danno e quanto ricevono dall’Ue”, spiega un altro funzionario. Ciascuno ha la sua piccola rendita: Francia e Irlanda con la Pac; Italia, Spagna e est con i fondi strutturali. “Ma Pac e Coesione sono reliquie del passato che limitano l’Ue su fronti essenziali per il suo futuro”, dice il funzionario. Nel 2018 all’agricoltura andranno quasi 60 miliardi, 11 miliardi per ricerca e innovazione, 940 milioni per immigrazione e sicurezza e 350 milioni per l’occupazione giovanile. La novità è che alcuni stati membri stanno violando antichi tabù, a cominciare dalla Francia di Emmanuel Macron che, in una nota riservata pubblicata dal sito Contexte, ha indicato come priorità finanziaria la difesa, le frontiere, l’integrazione dei rifugiati, ricerca e innovazione, la mobilità dei giovani – il “valore aggiunto” dell’Ue. “La messa in opera di queste nuove priorità dovrà essere accompagnata da un riforma delle politiche più vecchie” che sono Pac e Coesione, dice la nota. Nella conferenza di lunedì, il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, ha promosso i “beni pubblici europei” ma senza rinunciare alla Pac o ai fondi strutturali (inefficaci) per il sud. L’Italia, come i paesi dell’est, avrà un altro dilemma. Germania e Francia vogliono imporre “condizionalità” in contropartita alla solidarietà finanziaria dell’Ue: niente fondi se non si rispettano le regole fiscali, le quote di rifugiati o lo stato di diritto. L’Ue rischia una fattura sul bilancio, ma il costo del conservatorismo è l’immobilismo.