Perché ci interessa cosa fanno i commando francesi nel Sahel
Accampamenti in cerchio, croissant lanciati dagli aerei militari. Reportage indiscreto dalle operazioni antiterrorismo in Africa
Roma. Venerdì il quotidiano le Figaro ha pubblicato il reportage interessante di un suo giornalista embedded con le forze speciali francesi impegnate nella missione Sabre, nel Sahel. La Sabre è cominciata quattro anni fa nel segreto più assoluto – anche se il Figaro esagera un po’ con la segretezza: si sapeva che era in corso – e si occupa di dare la caccia ai capi dei guerriglieri estremisti che infestano la zona, che si proclamano fedeli ad al Qaida e in alcuni casi allo Stato islamico e che passano da un paese all’altro della regione africana come se i confini fossero soltanto convenzioni geografiche che non li riguardano. La Sabre è una missione complementare al dispositivo di sicurezza Barkhane, vale a dire al contingente molto più numeroso di soldati francesi che staziona in Mali per impedire che un esercito di estremisti conquisti il paese come è successo nel 2013. Le truppe impegnate nella missione Barkhane sono il grosso della forza militare nell’area: la Sabre è più un’operazione di fino, molto più discreta e basata sulla raccolta di buone informazioni. I suoi uomini passano il tempo in perlustrazione e mimetizzati in zone più o meno isolate nella speranza di intercettare movimenti sospetti – il modello citato nel reportage è quello del Sas inglese, lo Special air service, che durante la Seconda guerra mondiale percorreva i deserti del nord Africa a bordo di jeep cariche di provviste e di armi per seguire i movimenti delle truppe tedesche. Per ora i francesi hanno individuato e ucciso quindici comandanti della guerriglia islamista che secondo loro meritavano la sigla di Hvt, High value target (per esempio Osama bin Laden in Pakistan era il primo sulla lista Hvt).
Il giornalista del Figaro raggiunge le forze speciali a bordo di un elicottero che porta i rifornimenti – non lo scrive, ma è probabile che la base di partenza sia quella francese a Ouagadougou in Burkina Faso, perché questa guerra al terrorismo attraversa come si è detto più paesi. Sta con loro mentre si muovono con i mezzi sul fondo secco degli uadi, gli avvallamenti nel terreno che offrono un minimo di copertura, seguendo percorsi interminabili per non farsi vedere. Il 4 ottobre scorso un contingente americano di forze speciali è rimasto troppo a lungo in un villaggio in Niger, vicino al confine con il Mali, ed è stato attaccato da una costola locale dello Stato islamico – che ha infine rivendicato l’azione venerdì scorso. Quattro americani sono stati uccisi, uno dei cadaveri è stato recuperato soltanto il giorno dopo.
Di notte gli uomini del Cos (Commandement des opérations spéciales, la direzione delle forze speciali francesi) usano le precauzioni che userebbero se fossero dietro le linee nemiche in una guerra convenzionale: si dispongono in cerchio, chi dorme lo fa vestito e con l’arma a portata di mano, gli altri sorvegliano i dintorni con i visori termici che individuano il calore dei corpi anche nel buio. Un tocco che più francese non si può: quando arriva l’aereo che sgancia i rifornimenti appesi a un paracadute, per dare ai soldati la possibilità di prolungare la missione nel deserto, assieme al bidone dell’acqua e al resto ci sono pure “croissants e pains aux raisins”.
Il reportage è interessante per almeno due motivi. Il primo è che nella stessa area presto ci saranno anche soldati italiani – il voto sulla missione è domani in Aula – e a questo punto tutto quello che riguarda il contingente francese impegnato nella zona, ma anche i contingenti di America e Germania che contano quasi mille uomini ciascuno, interessa anche noi. I militari italiani vanno in Niger da addestratori, ma visti il terreno e i rischi è certo che una parte della spedizione sarà formata da forze speciali. E’ senz’altro possibile che siano impegnate in attività cosiddette “outside the wire”, fuori dai reticolati, quindi fuori dalla relativa sicurezza delle basi militari. Del resto la missione italiana in Niger è pensata come un pivot, un cambio di destinazione, di quella in Iraq dove le nostre forze non si occupavano soltanto d’addestramento ma anche di compiti più attivi.
Il secondo motivo d’interesse è che l’operazione francese Sabre è un’operazione antiterrorismo, e questo contraddice o perlomeno indebolisce le analisi che legano la presenza militare occidentale a ragioni economiche più o meno inconfessate (per esempio contrastare l’influenza cinese oppure difendere le miniere d’uranio). I gruppi che approfittano dell’anarchia nella regione tra Burkina Faso, Niger, Libia e gli altri paesi del Sahel seguono lo stesso programma militare e ideologico dello Stato islamico, quindi compiere incursioni devastanti, attrarre reclute e impadronirsi di armi e mezzi, sfruttare i traffici illegali – anche quello di migranti – per finanziarsi e infine rovesciare i governi locali. Il Sahel è l’equivalente africano delle zone frontaliere del Pakistan, quindi un territorio che richiede un’azione di sorveglianza permanente – sempre che qualcuno ci riesca. La fazione che a ottobre ha ucciso gli americani rivendica un’affiliazione diretta allo Stato islamico, che nel frattempo si riorganizza nel sud della Libia dopo essere stato sconfitto sulla costa. Un prigioniero del gruppo interrogato due settimane fa ha parlato di un campo di raccolta dei combattenti vicino al confine meridionale, che è quello dove i militari italiani saranno chiamati a esercitare la loro attività di controllo.
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