Il Dragone bianco e la conquista dell'Artico. La strategia "polare" della Cina
Un libro racconta la battaglia per il grande nord. La nuova via della seta e le ambizioni geostrategiche di Pechino
Roma. Murmansk, la città più grande del mondo all’interno del Circolo polare artico. Con poco più di trecentomila abitanti, in questo posto, dove la temperatura arriva a meno trenta, la cosa più famosa è il porto: l’avamposto russo nell’Artico, il luogo dove riposa il rompighiaccio atomico “Lenin”, oggi trasformato in museo. Ma a Murmansk c’è un’altra cosa, oltre alla tradizione russa, che non è difficile trovare: il cibo cinese – basta fare un giro su Tripadvisor. Qualche giorno fa il Global Times ha scritto del nuovissimo resort appena inaugurato nella città russa, “che ha anche strutture e servizi cinesi”. “I turisti cinesi sono i visitatori più numerosi nella regione artica russa, e il loro numero è aumentato di dieci volte negli ultimi dieci anni”. E poi: “I cinesi costituiscono il gruppo più numeroso di turisti del Parco Nazionale dell’Artico russo: nel 2017 un totale di 1.142 turisti provenienti da 36 paesi hanno visitato il parco, 206 di loro venivano dalla Cina, pari al 18 per cento del totale”.
Dietro a questo improvviso amore della Cina per l’Artico c’è una strategia che si ritrova spesso nelle tattiche di Pechino. Come quasi tutti i paesi asiatici, la borghesia cinese preferisce muoversi in gruppi, e affidarsi ai tour operator che suggeriscono, di volta in volta, mete che supportino il grande disegno geopolitico e l’interesse nazionale. Dopo l’istallazione dello scudo antimissile americano in Corea del sud, Pechino manifestò il suo disappunto con Seul vietando ai tour operator di vendere pacchetti di viaggi nella penisola. E quando la disputa territoriale nel Mar cinese meridionale iniziò a essere sfavorevole per Pechino, le isole artificiali cinesi si trasformarono in un luogo turistico.
L’Artico è già da qualche anno il vero obiettivo strategico di Pechino. Ed è facile intuirlo leggendo “Artico. La battaglia per il grande Nord” di Marzio G. Mian che uscirà domani per Neri Pozza: “Fino a tutto il 2015 non c’è stato nessun investimento cinese in Groenlandia. Nel 2016 è iniziata una massiccia offensiva – complici gli indipendentisti al governo – culminata con la scalata della società australiana che punta alla concessione e sfruttamento del complesso minerario di Kvanefjeld”, scrive Mian. “La Shenghe Resources Holding Ltd di Shanghai, già colosso nello sfruttamento delle terre rare, ha acquisito il 12,5 per cento della Gme, con un’opzione a salire fino al 60 per cento delle azioni una volta ottenuto il via libera al cantiere. Se da una parte l’operazione ha confermato che a Kvanefjeld si gioca una partita difficilmente gestibile dagli inesperti inuit al governo – i quali hanno appreso la notizia dai media e non sono ancora riusciti a farsi consegnare i termini dell’accordo dalle due società – dall’altra inquietano gli obiettivi della Cina con la gestione d’una miniera politicamente tanto sensibile: si sa che il mercato dell’uranio è ancora il più opaco, difficile da monitorare e si sa anche che il maggior azionista della Shenghe è l’Istituto di Stato per l’utilizzo delle risorse minerarie, emanazione del Ministero delle risorse cinese, braccio operativo del regime nelle sue ambizioni geostrategiche nell’Artico”, scrive Mian.
Ma le ambizioni geostrategiche di Pechino non riguardano solo le miniere (finanziata dalla Cina è anche la miniera di zinco più a nord del mondo) perché il grande progetto della Nuova Via della Seta è ben più complesso. Nei piani cinesi c’è anche l’apertura di una nuova rotta che – togliendo importanza al Mediterraneo – passerà attraverso il Polo Nord: del resto, “il riscaldamento climatico è il miglior alleato di chi sta mettendo le mani sulla Groenlandia”, scrive Mian. “La Via Marittima Settentrionale, che per Pechino è la versione polare della Nuova Via della Seta che collegherà la Cina al Mediterraneo. Se l’85 per cento del commercio globale è via mare, l’80 per cento del trasporto marittimo è in mano alla Cina. Un monopolio che vale un miliardo di dollari al giorno. L’operazione denominata Dragone bianco punta al trasferimento entro dieci anni del 20 per cento dei mercantili attraverso le rotte polari”.