Theresa May a Downing Street (foto LaPresse)

La solitudine di May

Paola Peduzzi

Tutti i fantasmi del premier inglese viaggiano assieme a lei, anche in Svizzera. Il caos di David Davis

Milano. Giovedì a Davos arriva Theresa May, premier britannico, e non riuscirà a lasciare a casa il carico di critiche e di accuse che ormai si deve portare ovunque vada. Alla kermesse svizzera in cui quest’anno a farla da padrona c’è l’Europa, tornata a essere centrale negli equilibri mondiali, la May incontrerà Donald Trump, un altro che viaggia appesantito, che venerdì proverà a piazzare, scandendolo con il suo immancabile dito alzato, l’America first presso i cantori della globalizzazione. L’incontro è un po’ un sollievo per la premier britannica, perché la visita trumpiana prevista a Londra è momentaneamente saltata, per polemiche architettoniche legate alla nuova ambasciata americana, ma anche perché c’era un coro di voci molto insistente contrario all’arrivo di Trump – e gli effetti li ha come spesso accade sentiti soprattutto la May.

 

I due parleranno di commercio e di partnership, la Brexit nella sua versione “ci apriremo al mondo” ha molto bisogno dell’alleato americano, e i falchi del divorzio dall’Unione europea che assediano la May vogliono che la “special relationship” sia viva e funzionante. Siamo “open for business”, va dicendo il cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, che si è intestato la charm offensive inglese a Davos. Ma l’atmosfera è ostile: se si celebra il rinascimento europeo – in modo forse prematuro, ma non interrompete un’emozione – non si può che sottolineare che Londra, che da questo rilancio si è autoesclusa, appare più debole, più indecisa, più insicura. Nelle chiacchiere a Davos si sente parlare molto male del governo inglese: George Osborne, oggi direttore dell’Evening Standard, ex cancelliere dello Scacchiere, uno che ha detto in un’intervista che attaccherà la May fino a quando non la farà a pezzi e i pezzi li metterà nel congelatore, non risparmia ironie e cattiverie ogni volta che apre bocca. E i fantasmi della May sembrano non andarsene mai, sono sempre lì a ostacolare il suo accidentato cammino, i soliti nomi, gli stessi da mesi e mesi: Boris Johnson per esempio, il ministro degli Esteri, sempre a metà tra il meno credibile tra i leader britannici e il primo candidato a sostituire la May. 

 

Mentre gli europei ripetono che per loro la Brexit non conta poi molto, non è certo in cima alle priorità, poi non è nemmeno detto che si faccia – i cuori sono aperti, ricordate? – gli inglesi si innervosiscono, loro che non riescono e non possono pensare ad altro che alla Brexit. Si è creato un gruppo compatto contro la May, formato dagli anti Brexit e dal loro esatto contrario, i falchi della Brexit, accomunati dalla convinzione che la premier non stia facendo un negoziato all’altezza delle aspettative. Ieri David Davis, ministro per l’Uscita del Regno dall’Ue, di fronte alla commissione Brexit ha detto che chiunque si presenti a un negoziato commerciale con delle “linee rosse” sarebbe “un idiota”. Davis ha parlato di “periodo di transizione” dopo l’uscita ufficiale dall’Ue, il 29 marzo 2019, quando i brexiteers vorrebbero che non ci fosse transizione, bensì “implementazione” del divorzio: due anni in cui le regole dell’Unione europea, dal mercato unico alla Corte europea di giustizia, continueranno a essere valide, ma il Regno Unito non avrà diritto di voto. Davis ha anche pronunciato una frase che ha scatenato le reazioni dei sostenitori del diritto-di-cambiare-idea: “Quando i fatti cambiano, anche io cambio idea”. Se lo fai tu, ministro Davis, perché non possiamo farlo anche noi?, hanno chiesto quelli che vogliono un secondo referendum sulla Brexit. Ma le critiche più dure al ministro sono arrivate dai falchi brexiteers, in particolare da Jacob Rees-Mogg, che ora guida l’European Research Group, l’ala pro Brexit del Partito conservatore: non le sembra che così siamo uno “stato vassallo” dell’Europa, ha chiesto Rees-Mogg, celebrato sulla rete da tutti quelli che sostengono che il governo sta svendendo il paese e non rispetta la volontà del popolo di uscire dall’Ue a testa alta. Come già accaduto in passato, la minaccia più potente alla May viene dal suo stesso partito, che non si sente mai a suo agio con questo premier, che sogna di sostituirlo – ma con chi? – e che intanto appesantisce la valigia della May, che ogni volta che esce dal Regno si porta dietro la faccia più triste del paese, chili di solitudine.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi