Con la GroKo 3.0 la Merkel ottiene il suo obiettivo di stabilità e riforme
La cancelliera fa molte concessioni, ma dà un senso concreto alle politiche “di centro”. Il voto dell’Spd e la malizia dei commentatori
Roma. Il testo fondativo della GroKo 3.0, la terza grande coalizione tra cristiano-democratici e socialdemocratici in Germania, è lungo centosettantasette pagine – un capitolo di cinque pagine, un po’ vaghe, è dedicato all’Europa, o meglio alla “nuova partenza per l’Europa!” – ed è il frutto di un’ultima maratona di venti ore, dopo dieci settimane di colloqui. Il centrismo moderato della Germania riparte da qui, da questo accordo – “siamo stati ripagati dell’attesa”, ha detto la cancelliera Angela Merkel – che si sviluppa lungo quella linea che l’Economist definisce “continuità espansiva”, in nome del surplus tedesco che è pari a circa 45 miliardi di euro. Ora il documento sarà sottoposto al voto dei 463.732 membri dell’Spd, partito di minoranza della coalizione, e l’esito sarà reso pubblico la mattina del 4 marzo prossimo: con l’approvazione inizieranno i lavori del prossimo governo tedesco, con una bocciatura la cancelliera, Angela Merkel, potrà guidare un governo di minoranza o, con l’accordo della presidenza della Repubblica, indire nuove elezioni.
Come ha detto il commentatore politico della Bild Nikolaus Blome, a ben guardare la composizione del prossimo governo, se c’è un partito che dovrebbe consultare la base sarebbe in realtà più quello cristiano-democratico, perché la grande notizia della giornata è che il successore del rigorosissimo Wolfgang Schaüble alle Finanze sarà un esponente dell’Spd – con tutta probabilità Olaf Scholz, sindaco di Amburgo, un centrista. Nella ripartizione dei ministeri, l’Spd ha confermato anche gli Esteri – con Martin Schulz, attuale leader del partito che cederà la guida ad Andrea Nahles, l’ex ministra del Lavoro che ha dato alla Germania il salario minimo – il Lavoro, la Giustizia, gli Affari sociali, l’Ambiente e la Famiglia.
La Cdu ha ceduto al leader della “cugina” Csu, Horst Seehofer, il ministero dell’Interno, che allarga le sue competenze alla “Heimat”, la patria: nel documento non c’è la temuta parola “tetto” all’immigrazione, ma il numero di richiedenti asilo ogni anno è collocato all’interno di una “forchetta” che va da 180 a 220 mila persone. Il resto rimane più o meno simile, entra al ministero del Business il coriaceo guardiano della Merkel, Peter Altmaier, mentre non compare il nome di Jens Spahn, che è la star “anti Merkel” della Cdu. La cancelliera ieri ha rassicurato tutti con la sua grazia – il negoziato è stato “faticoso ma piacevole” – e ha detto che l’obiettivo del governo “stabile” è stato raggiunto: era l’unico che le interessasse davvero. I paesi europei hanno ben accolto l’arrivo di un socialdemocratico alle Finanze, sinonimo di minore austerità, ma anche l’ulteriore allineamento sulle riforme europee patrocinate dalla Francia. Il leader dei liberali, Christian Lindner, che aveva abbandonato i colloqui con la Cdu agevolando il ritorno alla Grande coalizione, ha commentato: “Con questo accordo e questo cancelliere il rinnovamento del modello tedesco sembra impossibile”. In realtà, come già si era capito in campagna elettorale quando non si riuscivano a riconoscere grandi differenze tra l’offerta della Cdu e quella dell’Spd, il riformismo di destra assomiglia a quello di sinistra, si smussano gli angoli, ma la stabilità cammina su una strada comune, facendo attenzione a non cascare nel rischio più grande del centro: l’immobilismo.