AFP/LaPresse

Parigi con la neve rende tutti “stupidamente felici”

Francesco Maselli

Nevica da tre giorni e la capitale francese sembra tornata “giovane e casta”, come scriveva Emile Zola nel 1867

Parigi. Siamo tutti “stupidamente felici”, scriveva Emile Zola sul Figaro nel gennaio del 1867, stupito di fronte a Parigi coperta di neve. Così, come tutti gli abitanti di città non abituate a giorni di nevicate senza sosta, i parigini si sono svegliati con la capitale imbiancata e le strade ghiacciate carichi di meraviglia: “Una sorpresa che la città ha preparato per i suoi abitanti, per piacergli ha nascosto le sue sporcizie, gli sorrideva, al risveglio, con tutto lo splendore della sua bellezza di vergine. Sembrava voler dire ‘mi sono fatta bella mentre voi dormivate, ho voluto augurarvi buon anno, vestita di bianco e di speranza’”.

    

     

Oggi, come allora, tutto si è fermato: “La città sembrava giovane e casta. Non c’era più traffico, né marciapiedi, né sampietrini: le strade erano dei larghi nastri di tessuto bianco; le piazze, dei prati di margherite”. Da ieri sera non circolano autobus, le automobili sono ferme e coperte dalla nevicata di tre giorni, ma a parte qualche lamentela sui social network, Parigi è ben contenta di cambiare volto anche se per poche ore. E quindi il Sacre Coeur di Montmartre, senza volerlo, diventa il punto di partenza per gli slittini dei bambini che hanno preferito non andare a scuola, o di qualche adulto che si diverte con sci e scarponi a risalire le scale di fianco alla funicolare attirando l’attenzione di chi, smartphone alla mano, non aspetta altro che scene divertenti da immortalare e condividere sui social network.

   

   

A Parigi l’inverno è inclemente. Non per il freddo, raramente la temperatura scende sotto zero, ma per le nuvole e il grigiore che accompagnano per mesi i suoi abitanti. E come se non bastasse, si aggiunge la poca luce: il sole sorge tardi, fino alle otto del mattino è buio pesto. La neve, quindi, più che una seccatura è un benvenuto fuoriprogramma: “La mattina, in inverno, quando si allontanano le persiane dalle finestre, niente è più triste della strada nera d’umidità e di freddo. L’aria è pesante d’umidità giallastra che si trascina, lugubre, contro i muri. Ma ora che la neve è arrivata, durante la notte, tenera, senza rumore, con il suo spesso tappeto sul terreno, ci spingiamo a una leggera esclamazione di gioia e sorpresa. Tutta la bruttezza dell'inverno è andata via; ogni casa sembra una bella donna in pelliccia; i tetti si ergono gioiosi sul cielo pallido e chiaro; siamo in piena fioritura del freddo”.

   

E continua a nevicare, due ragazzini si lanciano nella montagna di neve accumulata ai lati della piazza principale del piccolo borgo di Montmartre, uno dei punti più alti della città, dal quale si possono vedere i tetti imbiancati e le strade vuote, invaso come al solito da turisti. Il rumore delle auto è sostituito dai passi leggeri dei parigini che cercano di farsi largo nei marciapiedi che il comune non è ancora riuscito a liberare dalla neve. Una situazione non così diversa dal 1867: “Ho visto, al Carrefour de l’Observatoire, un gruppo di bambini tremanti e felici. Erano tre, due ragazzini di circa dodici anni con un vestito napoletano, e una bambina di circa otto anni, abbronzata dal sole di Napoli. Avevano posato su un mucchio di neve i loro strumenti, due arpe e un violino. I due maschi si battevano a colpi di palle di neve, lasciandosi scappare delle risate argentine; la bambina, accovacciata, tuffava con gioia le sue mani azzurre nel manto di neve. Sotto il lembo di tessuto che copriva i suoi capelli bruni, la ragazzina aveva un’aria estasiata. Riportò la gonna di lana rossa tra le sue povere piccole gambe che tremavano dal freddo. Era gelata ma sorrideva con tutta la luminosità delle sue labbra rosa. Questi bambini non conoscevano senza dubbio che il travolgente calore del sole; la neve, fredda, malleabile e pungente era una festa per loro”.

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