Olaf Scholz (foto LaPresse)

L'Spd alle Finanze

Marco Cecchini

Chi brinda a Olaf Scholz come il padrino della fine dell’austerità rischia di rimanere molto deluso

Roma. L’ultima volta che un esponente socialdemocratico ha preso le redini del ministero delle Finanze in Germania era l’anno di grazia 2002. Il ministro si chiamava Hans Eichel, il suo cancelliere Gerhard Schröder. L’euro circolava da pochi mesi. La Germania era il “malato d’Europa” e il governo Schröder la rivoltò come un calzino con l’Agenda 2010. Sedici anni dopo, la notizia riportata da tutti i media, secondo la quale nel prossimo governo di grande coalizione (ormai dato quasi per certo) il ministero delle Finanze – per anni il regno incontrastato dell’alfiere dell’austerità Wolfgang Schäuble – passerà al numero due dell’Spd, il sindaco di Amburgo Olaf Scholz, sembra essere dunque il piatto forte dell’accordo raggiunto da Angela Merkel e Martin Schulz per un nuovo esecutivo allargato. I critici di Schäuble, che in Italia abbondano, stanno probabilmente brindando. Fine del rigore “cieco” imposto all’Europa dall’anziano ministro costretto su una sedia a rotelle da un attentato terroristico? Europa che apre i cordoni della borsa? L’inizio di un’insperata ricreazione finanziaria? La riforma dell’Eurozona tracciata a grandi linee nell’accordo di coalizione segna indubbiamente una correzione della linea Schäuble. E ne è una prova “a contrario” il disappunto con cui essa è stata accolta dalla Bundesbank, che in questi anni ha sempre marciato a fianco dell’ex ministro. E tuttavia sperare che questo significhi la messa in soffitta dei princìpi cardine della filosofia economica tedesca – disciplina di bilancio, riduzione del debito, condivisione dei rischi condizionata a qualche forma di riduzione degli stessi – è semplice wishful thinking. 

 

L’impressione è rafforzata se si considera la personalità del candidato Scholz. Scholz non è l’appassionato Joschka Fischer o il radicale Oskar Lafontaine. E’ un sessantenne avvocato amburghese dai modi riservati che appartiene all’ala governista, istituzionale e dialogante del partito. E’ in buoni rapporti con la Bundesbank e nel 2013, quando seguiva il dossier finanziario nei negoziati per la formazione della seconda grande coalizione con la Cdu, scrisse un articolo con Schäuble in favore della cancellazione della tassa di solidarietà sui redditi personali e societari per destinarne i proventi alla copertura degli interessi pagati dagli enti locali. E’ in ottimi rapporti con Angela Merkel, che lo scorso anno gli concesse l’onore di ospitare ad Amburgo il vertice del G20 sfidando tutte le riserve del caso. Nelle settimane seguite alla batosta elettorale subita dal partito ha sempre sostenuto, in contrapposizione con Schulz, la necessità di lavorare per un nuovo governo di coalizione, cosa che lo ha avvicinato molto al presidente della Repubblca, Frank-Walter Steinmeier. Un uomo delle istituzioni e del compromesso. Vedremo nelle prossime settimane quali connotati prenderà la riforma dell’Eurozona a trazione Macron-Merkel-Scholz. Ma come tutte le riforme anche questa non sarà senza costi. Per chi, come Berlino, apre a forme di solidarietà e per chi, come Roma, si dispone a beneficiarne.

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