Il Sudafrica ha deciso di rimuovere il presidente Jacob Zuma. È iniziata la "Zexit"
Ormai logorato dagli scandali e da una consolidata immagine di incapacità, per il capo di stato arriva l'ultimatum: ha 48 ore per dimettersi. Ma lui non ha intenzione di farlo. Ecco che cosa potrebbe accadere
“Jacob Zuma si è dimesso da presidente del Sudafrica”. La notizia aveva cominciato a diffondersi ieri attorno alle 17 locali – le 16 italiane. “Fake news”, aveva subito seccamente smentito il suo portavoce. Ma era ancora in corso la riunione che la direzione dell’African National Congress aveva convocato, con l’obiettivo esplicito di chiedere al capo dello Stato di farsi da parte. Si sarebbe chiusa a tarda notte, con la formulazione di un esplicito ultimatum: Zuma ha tempo 48 ore per dimettersi. Ma lui non sembra avere la benché minima intenzione di farlo.
“Zexit” è stato ribattezzata questa operazione. Una “Zuma’s exit” iniziata lo scorso 17 dicembre, quando il partito già di Nelson Mandela aveva scelto di nominare come suo nuovo leader Cyril Ramaphosa. Il segnale era duplice. Da una parte, l’ex-sindacalista Ramaphosa dopo essersi trasformato in businessman è diventato un naturale punto di riferimento per la grande imprenditoria sudafricana. E la grande imprenditoria sudafricana vede da sempre come il fumo negli occhi sia Zuma, sia tutto ciò che è a lui associato: il populismo, gli scandali, l’incapacità nel gestire la crisi economica. Dall’altra, l’avversario di Ramaphosa era la ex-moglie di Zuma Nkosazana Dlamini-Zuma. Malgrado il divorzio, lei era ancora strettamente legata a Zuma dal punto di vista politico, e una sua vittoria avrebbe significato che il presidente aveva ancora il controllo del partito. Ma il successo di Ramaphosa era stato di strettissima misura: 2240 voti contro 2261. In più, la votazione si era dovuta prolungare per 24 ore in più rispetto al previsto. Insomma, Zuma nel paese è sempre più impopolare, ma per i militanti dell’Anc rappresenta ancora molto.
Proprio puntando su questa sua residua presa nel partito Zuma rifiuta ancora di andarsene. Ramaphosa si era basato al precedente del 2008, quando la direzione del partito era riuscita a imporre le dimissioni al presidente Thabo Mbeki: con una manovra impostata proprio da Zuma, che rimproverava a Mbeki di essere troppo centrista, e di non essersi opposto alle inchieste giudiziarie che lo avevano investito. Mbeki allora se ne era disciplinatamente andato, anche se subito dopo i suoi seguaci avevano fatto scissione dall’Anc. Adesso si va invece in Parlamento, dove le possibilità sono due: sfiducia politica, a maggioranza semplice, in base all’articolo 102 della Costituzione; o impeachment, con maggioranza qualificata dei due terzi, che è invece previsto dall’articolo 89.
Quest’ultima soluzione sarebbe la preferita dalle opposizioni della Democratic Alliance e degli Economic Freedom Fighters: politicamente agli antipodi, dal momento che l’una è liberale e gli altri sono invece ancora più populisti di Zuma; ma entrambe unite dalla richiesta di mandare il presidente in galera. “Non avrò pace fin quando non vedrò Zuma dietro le sbarre”, ha detto senza mezzi termini il leader della Democratic Alliance Mmusi Maimane: il primo nero al vertice di un partito già espressione soprattutto dei liberal bianchi, ma che è venuto crescendo proprio per la protesta contro l’attuale governo. Secondo lui il piano di Ramaphosa per scambiare le dimissioni di Zuma con un’amnistia “sarebbe un insulto alla Costituzione”. “Come si fa a non umiliare qualcuno che ha umiliato il nostro paese? Con 783 accuse di corruzione che pendono contro di lui, Zuma deve finire nel carcere di Johannesburg!”. È una posizione addirittura garantista rispetto al grido con cui il leader degli Economic Freedom Fighters Julius Malema evoca addirittura la giustizia sommaria: “datelo a noi! Datelo ai nostri militanti!”.
Già per sette volte le opposizioni hanno chiesto la sfiducia per Zuma, e per sette volte la mozione è stata respinta. Stavolta l’Anc si unirebbe però a loro, e a quel punto la semplice rimozione politica potrebbe essere una soluzione molto più indolore che non una vicenda giudiziaria potenzialmente devastante. Proprio l’anno prima delle prossime politiche, e nel centenario di Nelson Mandela.
Ma più indolore ancora sarebbe stata una dimissione gestita dalla direzione del partito: eppure Zuma non ci è stato. Quel che può accadere è ulteriormente complicato da una decisione che la Corte costituzionale ha preso proprio a giugno, e in cui ha stabilito che i voti per sfiduciare o mettere sotto impeachment il presidente dovrebbero essere espressi a scrutinio segreto, proprio per evitare che la disciplina di partito possa prevalere sul divieto di vincolo di mandato. Evidentemente, nel buio dell’urna Zuma pensa di avere ancora qualche carta da giocare.