La vendetta del principe Henrik di Danimarca
La storia romanzesca del consorte di Margherita II, morto ieri a 83 anni, discriminato da una legge che lo ha ridotto a marito vessato e a sovrano di scorta
Si chiude, con la morte del principe Henrik di Danimarca, un cerchio aperto in Europa tre secoli fa; più esattamente nel 1713, quando l’imperatore Carlo VI d’Asburgo emanò la Prammatica Sanzione per garantire che potesse succedergli al trono sua figlia Maria Teresa, in mancanza di eredi maschi. Al culmine della crisi della coscienza europea, la decisione di Carlo VI fu un tassello fondamentale per comporre il grande affresco dell’età moderna, in quanto consentì che per la prima volta potesse spettare a una donna il trono più elevato fra i regni del mondo, quello del Sacro Romano Impero, riconoscendo in via definitiva il diritto femminile a reggere i destini di qualsiasi nazione tanto quanto un uomo. Per farlo, Carlo VI dovette abolire la Legge Salica di Clodoveo e così chiudere definitivamente i conti col retaggio medievale che, dal V secolo, vincolava il regno dei Franchi e tutti i regni successivi alla linea di successione esclusivamente maschile. Non tutte le nazioni furono così leste (nel Regno d’Italia la Legge Salica non fu abolita mai) e, nonostante l’imperatore si fosse premurato di far riconoscere la Prammatica Sanzione dalle altre potenze europee, alla sua morte scoppiò comunque una guerra per impedire a Maria Teresa di ascendere al trono che le spettava. Si combatté per otto anni, fino a che con la Pace di Aquisgrana, nel 1748, si riconobbe che Maria Teresa era sì legittima imperatrice ma che a suo marito Francesco Stefano di Lorena, granduca di Toscana, spettava il titolo di principe imperiale.
L’Europa è cambiata da allora, quindi nessuno combatterà per Henrik di Danimarca e per il sottile paradosso politicamente corretto che negli ultimi anni questa figura romanzesca – il marito di Margherita II era un francese snob, playboy, elitista, artista poliedrico, eccellente gastronomo, orientalista, ambasciatore a Londra, legato a de Gaulle – ha voluto incarnare concedendosi dichiarazioni sopra le righe, che hanno causato più d’una volta la pelle d’oca ai dignitari di Palazzo. Un codicillo della legge danese prevede infatti che la donna sposata a un monarca divenga automaticamente regina consorte, mentre un uomo sposato a una monarca non diventi re ma resti principe consorte. Va detto che il caso non è così frequente, risalendo l’unica precedente regina di Danimarca, Margherita I, alla fine del Trecento, ed essendo suo marito Haakon VI già di per sé re di Norvegia; all’epoca i due regni furono associati anche alla reggenza della Svezia poi, per sei secoli, il problema non si pose più. Va detto anche che i malumori del principe Henrik sono iniziati tardi: aveva sposato Margherita II cinquant’anni fa, poco prima che diventasse regina nel 1972, e solo trent’anni dopo aveva iniziato a mugugnare espressamente per il suo ruolo. Era successo che, nel 2002, la regina non aveva potuto presenziare al ballo del corpo diplomatico a Copenaghen e aveva richiesto di essere sostituita dal figlio Frederik, primo in linea di successione al titolo di altezza reale, anziché dal marito in trepidante attesa.
Da quel momento sotto il principe Henrik è tornato a farsi strada l’animo anticonformista di Henri-Marie-Jean-André de Laborde de Monpezat, che mezzo secolo fa aveva affascinato la futura regina. Sotto il nome originario aveva pubblicato un’autobiografia, “Destin oblige” (Plon), incentrata sulla curiosa sorte di avere dovuto cedere la propria identità in cambio di un ruolo che nell’immaginario dei danesi consisteva nello stare un passo indietro, nell’essere un’ombra muta della regina. Dal ballo in poi il principe Henrik non s’è tenuto più e ha iniziato a esternare, specie coi media francesi, la propria frustrazione nel vedersi ridotto a marito vessato o sovrano di scorta. Si è spinto fino a dire che, quando parlava, la gente si chiedeva se la moglie lo avesse autorizzato; e che la regina, testuali parole, lo trattava da imbecille. E sarebbe stata solo una storia poco romantica di invecchiamento che incancrenisce le coppie, di amore andato a male insomma, se il principe Henrik non avesse avuto il tocco di genio di dichiarare: “Spero che un giorno in Danimarca anche agli uomini possano godere del diritto di essere associati al trono delle loro consorti, come le donne”.
Henrik di Danimarca con la regina Margherita II (foto LaPresse)
Torniamo alla storia. Quando Carlo VI abolì la Legge Salica non aveva affatto in mente nessuna questione di eguaglianza di diritti ma un bieco calcolo politico: con la Prammatica Sanzione stabiliva infatti che i suoi eredi, anche se donne, avrebbero avuto la precedenza nel succedergli rispetto agli eredi, anche se maschi, del fratello Giuseppe I morto un paio di anni prima. È probabile che anche il principe Henrik fosse più sensibile, se non al calcolo, quanto meno al prestigio politico: era celebre per vantarsi di essere il primo francese su un trono scandinavo dopo Jean-Baptiste Bernadotte, il maresciallo di Francia creato principe di Pontecorvo da Napoleone, poi re di Svezia e Norvegia dal 1818. O almeno al principe Henrik sarebbe piaciuto esserlo, se la combinazione fra la disparità della legge danese e l’atteggiamento intransigente della regina sua moglie non gli avessero impedito di farsi re.
Particolare del sarcofago regale della cattedrale di Roskilde (foto LaPresse)
La casistica degli uomini che possono aspirare a sposare una regina danese è piuttosto limitata, quindi, sotto la scorza araldica del principe Henrik, Henri-Marie eccetera eccetera de Monpezat sapeva di non star dando voce a un’emergenza sociale. Stava sornionamente traducendo in proclama universale un disagio individuale, che è poi quello che fanno tutti, tornando al suo gusto d’artista per lanciare una provocazione che inverte i termini in maniera surreale, quasi patafisica: gli uomini sono discriminati perché non possono diventare re di Danimarca sposandosi. Ha preso il modo in cui l’età odierna suole leggere la società e l’ha rivoltato all’estremo. Assurdo, irritante, stupendo e tragico al contempo, se si pensa ai cinquant’anni trascorsi di fianco a una donna da cui dipendeva e che detestava sempre più. Ora che è morto, la vendetta del principe Henrik è compiuta: le sue ultime volontà pubbliche disponevano che la salma non fosse sepolta nel loculo preparato di fianco a quello per la moglie in quanto, se non erano stati sullo stesso livello durante la vita, non dovevano esserlo nemmeno dopo. Questo accadeva l’anno scorso, ad agosto. A settembre i dignitari di Palazzo hanno comunicato ufficialmente che il principe Henrik era affetto da demenza senile.